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Primo Maggio: la festa di un fantasma (137 operai entrano in cassa integrazione il giorno della festa del lavoro)

Un giorno come un altro, nella solita assonnata città provinciale toscana in tutto e per tutto che è Pistoia. Giorno di lavoro, lunedì scorso, pomeriggio vagamente nuvoloso con qualche accenno di pioggia. Lento scorrere del tempo come suo solito, come da sempre.

Solo che nel pomeriggio tutti i 137 dipendenti della Radicifil capiranno di essere senza lavoro dal primo maggio in poi.

Se vogliamo è una cosa quasi simbolica, entrare in cassa integrazione il giorno della festa dei lavoratori.

"A conclusione dell’assemblea, per alzata di mano hanno deciso rabbiosi di accettare le «modalità della protesta" suggerite dai sindacati: presidio permanente giorno e notte, richiesta di un intervento delle istituzioni provinciali e regionali, partecipazione al corteo del Primo maggio con uno striscione, incontri con sindaco, prefetto e ogni autorità possa servire ad impedire la fine della produzione. "Di qua non uscirà più niente!", gridavano diversi operai riferendosi alle casse di nylon già pronte per la distribuzione." (da La Nazione)

L’altroieri, primo maggio, uno striscione degli operai della Radicifil apriva il corteo.

La verità è che ha ragione Nichi Vendola, quando dice che "Oggi si festeggia un fantasma. Quella degli ultimi decenni è la storia di un occultamento e di una rimozione, di un progressivo, inesorabile, slittamento del lavoro dal ruolo centrale che gli assegnava la Costituzione repubblicana a postazioni sempre più periferiche, sino a finire nelle brume di una estrema banlieu, pudicamente celato alla vista."

Il lavoro, concetto di pura invenzione umana, lo stesso di Hegeliana memoria, che rendeva libero il servo rispetto al padrone, ad oggi, viene minimizzato, parcellizzato in contratti disonorevoli, riducendo l’uomo a schiavo della sua stessa esistenza, rendendolo vittima di tre lavori quotidiani, facendogli perdere il senso dell’orientamento e gli obiettivi, le ambizioni, la felicità, solo al fine di conseguire la sopravvivenza.

La carta costituzionale è stata scritta in un momento di riflessione e di grande saggezza, è stata scritta con le migliori intenzioni e con la forza di chi aveva troppo sofferto per diventare disonesto davanti a se stesso. E credo che nessuno, nella costituente, ebbe da ridire quando venne proposto di siglare la Repubblica Italiana, la cosa pubblica, come fondata sul lavoro.

Cioè basata sul diritto di ognuno di lavorare, al fine di poter condurre una vita soddisfacente e poter ambire al diritto, anch’esso sancito dalla costituzione, alla felicità.





In realtà il lavoro ha seguito altre strade, si è avvolto a doppio filo con il capitale, e ne è diventato schiavo. I sindacati si sono addormentati per un tempo immenso, i cittadini sono soffocati in un mondo medio di proporzioni sempre più vaste, e si sono ritrovati a girarsi i pollici, si sono ritrovati a solcare nuovamente le strade, a capire che il primo giorno di Maggio non è solo una festa, non è un "rosso" sul calendario, è la festa di un diritto.

I dati Istat aggiornati al settembre 2008 sono semplicemente allarmanti. Un campanello che suona a buon diritto nell’orecchio, un allarme continuo, che non tende ad abbassare il volume.

I dati parlano da soli, come sempre.

In Italia siamo poco più di 59 milioni di persone. Di queste: il 39,6% ha un lavoro (attivo in età lavorativa) il 2,6% è in cerca di un lavoro il 24,5% è disoccupato (inattivo in età lavorativa) il 33,3% è inattivo in età non lavorativa, cioè in pensione.

Se poi pensiamo che del primo 39,6% di occupati, abbiamo un buon 4% di impiegati a tempo determinato, e un 3,5% di occupati a tempo indeterminato part-time, la festa del primo maggio diventa una caccia a un’orda di fantasmi. Un intero villaggio affetto da ectoplasma.

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