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Presidenziali USA. Dimmi come ti muovi e ti dirò se vinci le elezioni

Negli Stati Uniti il linguaggio del corpo è considerato uno dei punti chiave dell'intera campagna elettorale. Uno di quelli che sposta l'ago della bilancia tra i candidati. In Italia, pochi ne parlano, nessuno lo studia. Ma visto gli esempio del recente passato, forse meglio così.

Si dice che, delle volte, un gesto valga più di mille parole. Ma al di là del pensar comune, che spesso ci azzecca, ci sono teorie diffuse da sociologi e maghi del body language che spiegano il perché e le conseguenze della comunicazione non verbale. Negli Stati Uniti, infatti, è convizione comune credere che "ciò che si vede arrivi all'elettore prima di ciò che si sente", specialmente se si discute di politica e di elezioni presidenziali.

Accade così che il New York Times, in vista del primo dibattito tra il Presidente in carica Obama e il suo avversario repubblicano Romney, dia spazio all'analisi dei gesti più che ai discorsi dei candidati apparsi sinora nelle conventions dei rispettivi partiti. Un tempo fu Nixon, che lanciò il linguaggio del corpo durante la campagna contro Kennedy ed è tuttora considerato l'iniziatore di una politica in cui la comunicazione non-verbale vince sulle parole. E dagli anni Sessanta e Settanta, passando per il presidente-attore Reagan, fino a Clinton, Bush e Obama, occhi, mani, spalle, tutto passa inesorabilmente sotto la lente di ingrandimento degli analisti americani. Ma se serve una conferma su come il body language sia per gli americani un'ossessione, bisogna sfogliare Forbes, che lo considera un elemento chiave soprattutto tra gli indecisi. Non solo quindi come qualcosa viene detto, ma anche come il candidato appare nel momento in cui parla. Una vera e propria lista di segnali positivi e negativi che trasmettono all'elettore delle emozioni così forti da influenzarne la scelta al momento del voto. 

Una costruzione superficiale della politica? Domanda lecita, ancor di più se un piccolo paragone si vuole fare con l'Italia, dove è appena cominciata, almeno nei salotti televisivi, la campagna elettorale. Finora, visti gli scandali e il vento di antipolitica che soffia sul paese, i futuri (più o meno certi) candidati stanno bene accorti dal mostrare o dire troppo.

Se dunque un'analisi volesse essere fatta, dovrebbe guardare al passato. Ma anche qui, il parallelismo risulta azzardato. Da noi, infatti, cercare tra diti medi (vedi Bossi, Calderoli, Santanché), pernacchie (vedi Bossi), gesti dell'ombrello (vedi Borghezio), corna (vedi Berlusconi ai meeting internazionali), un atteggiamento che possa avere valenza sociologica tale da comparire sui testi di analisi politica sembra davvero impresa ardua. E nel nostro caso, neanche ciò che viene visto può salvare la politica dall'inutilità di ciò che viene detto. 

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