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Pio La Torre: 30 anni dall’assassinio

Il 30 aprile 1982 fu assassinato Pio La Torre, a causa del suo forte impegno contro le mafie. Sono passati quindi 30 anni. I giovani probabilmente nemmeno lo conoscono e i meno giovani, almeno una parte, se lo sono dimenticati. Per questo ritengo opportuno ricordarlo e questo è anche il mio modo di festeggiare il 1° maggio, poiché La Torre è stato anche un dirigente della Cgil e fu molto attivo nel movimento dei contadini che, agli inizi degli anni ’50 si battè, in Sicilia, per l’occupazione delle terre, con l’obiettivo di costituire delle cooperative agricole, tanto attivo che fu arrestato, rimanendo in carcere per circa un anno e mezzo: dall’11 marzo 1950 al 23 agosto 1951.

Innanzitutto una sua breve biografia, riprendendo alcune parti di quanto a lui dedicato da Wikipedia:

“Nacque il 24 dicembre del 1927 nella frazione di Altarello di Baida del comune di Palermo in una famiglia di contadini molto povera.

Sin da giovane si impegnò nella lotta a favore dei braccianti, finendo anche in carcere, prima nella Confederterra, poi nella Cgil (come segretario regionale della Sicilia) e, infine, aderendo al Partito comunista italiano….

Nel 1960 entrò nel Comitato centrale del PCI e, nel 1962 fu eletto segretario regionale, succedendo a Emanuele Macaluso.

Nel 1969 si trasferì a Roma per dirigere prima la direzione della commissione agraria e poi di quella meridionale.

Messosi in luce per le sue doti politiche, Enrico Berlinguer lo fece entrare nella segreteria nazionale di Botteghe Oscure. Nel 1972 venne eletto deputato, e subito in Parlamento si occupò di agricoltura.

Propose una legge che introduceva il reato di associazione mafiosa (Legge Rognoni-La Torre) ed una norma che prevedeva la confisca dei beni ai mafiosi (scopo poi raggiunto dall’associazione Libera, che raccolse un milione di firme al fine di presentare una proposta di legge, che si concretizzò poi nella legge 109/96).

Nel 1981 decise di tornare in Sicilia per assumere la carica di segretario regionale del partito. Svolse la sua maggiore battaglia contro la costruzione della base missilistica NATO a Comiso che, secondo La Torre, rappresentava una minaccia per la pace nel Mar Mediterraneo e per la stessa Sicilia…

Alle 9,20 del 30 aprile 1982, con una Fiat 131 guidata da Rosario Di Salvo, Pio La Torre stava raggiungendo la sede del partito.

Quando la macchina si trovò in una strada stretta, una moto di grossa cilindrata obbligò Di Salvo, che guidava, ad uno stop, immediatamente seguito da raffiche di proiettili. Da un’auto scesero altri killer a completare il duplice omicidio.

Pio La Torre morì all’istante mentre Di Salvo ebbe il tempo per estrarre una pistola e sparare alcuni colpi, prima di soccombere…

Al funerale presero parte centomila persone tra cui Enrico Berlinguer, il quale fece un discorso.

Poco dopo l’omicidio fu rivendicato dai Gruppi proletari organizzati.

Dopo nove anni di indagini, nel 1991, i giudici del tribunale di Palermo chiusero l’istruttoria rinviando a giudizio nove boss mafiosi aderenti alla Cupola mafiosa di Cosa Nostra.

Per quanto riguarda il movente si fecero varie ipotesi, ma nessuna di queste ottenne riscontri effettivi. Nel 1992, un mafioso pentito, Leonardo Messina, rivelò che Pio La Torre fu ucciso su ordine di Totò Riina, capo dei corleonesi, a causa della sua proposta di legge riguardante i patrimoni dei mafiosi….”.

Pertanto, proprio perché il più probabile movente dell’assassinio di La Torre fu la proposta di legge appena citata, è bene delinearne le sue principali caratteristiche.

Sempre su “Wikipedia” è possibile leggere:

“Fino al 1982, per far fronte ai delitti di mafia, si faceva ricorso all’art. 416 c.p. (associazione per delinquere), ma tale fattispecie è ben presto risultata inefficace di fronte alla vastità e alle dimensioni del fenomeno mafia. Tra le finalità perseguite dai soggetti uniti dal vincolo associativo ve ne erano anche di lecite, e ciò costituì il più grande limite all’applicazione dell’art. 416.

Il 3 settembre 1982, l’uccisione del generale Dalla Chiesa e la successiva reazione di sdegno da parte dell’opinione pubblica, portò lo Stato nel giro di venti giorni a formulare e introdurre l’art. 416 bis, tramite la legge 646 del 13 settembre 1982, detta ‘Rognoni-La Torre’, dando così la propria risposta al grave fatto di sangue e perseguendo l’obiettivo di porre freno al problema mafia.

La nuova fattispecie prevede l’individuazione dei mezzi e degli obiettivi in presenza dei quali ci si trova di fronte ad una associazione di tipo mafioso. Il legislatore per la prima volta nel 1982 dà una definizione del concetto di mafia.

Il mezzo che deve utilizzarsi per qualificare come mafiosa una associazione è la forza intimidatrice del vincolo associativo e della condizione di soggezione e di omertà che ne deriva.

Gli obiettivi sono:

il compimento di delitti, acquisire il controllo o la gestione di attività economiche, autorizzazioni, concessioni, appalti o altri servizi pubblici, procurare profitto o vantaggio a sé o ad altri
limitare il libero esercizio del diritto di voto, procurare a sé o ad altri voti durante le consultazioni elettorali.

Gli ultimi due obiettivi sono stati inseriti nel 1992 nell’ambito delle misure adottate a seguito delle stragi di Capaci (attentato a Giovanni Falcone) e di Via D’Amelio (attentato a Paolo Borsellino).

L’art. 416 bis dispone inoltre la confisca dei beni, nonché l’applicabilità di tale fattispecie anche nell’ipotesi di camorra o di altre associazioni riconducibili a quelle di tipo mafioso, comunque localmente denominate”.

In un articolo pubblicato su Narcomafie don Luigi Ciotti, presidente e fondatore dell’associazione Libera, descrive le linee generali della seconda legge che prevedeva la confisca dei beni dei mafiosi, approvata nel 1996, che fu però ispirata dalla legge Rognoni-La Torre:

“Mi ricordo bene i mesi, densi di speranze e intensi nell’impegno, che hanno portato all’approvazione della legge 109.

Era la primavera del 1995: il progetto di Libera muoveva i suoi primi passi, stringeva i primi legami sul territorio. ‘Narcomafie’ invece esisteva già da un paio d’anni, e proprio quell’avventura, capace di costruire in poco tempo un’attenzione nuova intorno ai temi del crimine organizzato, una nuova consapevolezza e voglia di ‘esserci’, ci aveva convinti che era importante continuare su quella strada.

Era il momento però per un cambio di passo: si trattava di coinvolgere sempre più i ‘non addetti ai lavori’, di convincere la gente comune che per sconfiggere le mafie non sarebbero mai bastati gli arresti e i processi, ma serviva uno sforzo più collettivo: culturale, sociale, politico.

La scelta di scommettere sull’uso sociale dei beni confiscati puntava sul doppio valore, materiale e simbolico, di quei beni.

Alla base c’era il desiderio di realizzare, nel modo più incisivo, la grande aspirazione di Pio La Torre (che 13 anni prima aveva ispirato la prima legge in materia). Cioè restituire i beni dei mafiosi alla società, trasformarli da ricchezze illecite ed esclusive in beni condivisi, opportunità e diritti per tante persone…”.

Se dovessimo partecipare ad un corteo in memoria di Pio La Torre, come spesso succedeva nelle manifestazioni che si svolgevano negli anni ‘70 e ‘80, avremmo gridato “Pio La Torre è vivo e lotta insieme a noi”. Questo sarebbe stato solo uno slogan, però nel caso di La Torre molto di più: è profondamente vero che l’impegno di La Torre ha rappresentato un modello che è stato seguito da molti dopo di lui. E quindi il suo ricordo si è tradotto in numerosi atti concreti, che hanno visto coinvolte migliaia di persone, le quali prendendo spunto dalla lezione di La Torre si sono battuti con forza contro le mafie ed hanno ottenuto anche dei risultati positivi. Si deve continuare così.

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