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Petrolio, prezzi piratati

Il pirati somali possono provocare un aumento del prezzo del petrolio?
La domanda sorge dopo la vicenda della petroliera saudita Sirius Star, dirottata dalla moderna filibusta al largo del Kenya, una super “oil tanker” lunga 330 metri e con un carico di 2 milioni di barili (cioè 100 milioni di dollari). Appena la notizia si è diffusa, il greggio è aumentato di oltre un dollaro, raggiungendo quota 58 dollari al barile.

Secondo RGEMonitor, il sito dell’economista Nouriel Roubini, la risposta è affermativa, almeno sul breve periodo: gli attacchi non determinano ovviamente un rincaro della materia prima alla fonte, bensì dei trasporti e delle assicurazioni, “aumentando il prezzo del petrolio per l’utente finale”.

Alcuni armatori hanno già ridisegnato le rotte standosene alla larga dal Golfo di Aden, teatro privilegiato delle scorrerie: 84 navi attaccate quest’anno, su 20mila circa che transitano da quelle parti. Il percorso alternativo allunga però notevolmente il viaggio delle petroliere dirette in Europa e Nord America, costrette a doppiare il Capo di Buona Speranza. E i costi, con i tempi, lievitano.

Quanto alle assicurazioni, sul mercato londinese stanno nascendo specifiche polizze “kidnapping and ransom” che comprendono una specifica clausola sulla pirateria. Secondo l’armatore Cesare d’Amico - ripreso da Il Sole 24 Ore - l’inserimento di tale clausola fa aumentare i costi assicurativi in maniera molto variabile:


“Possono andare, poniamo, dallo 0,075% allo 0,15% del valore assicurato. Su una nave da 50 milioni di dollari, nella prima ipotesi, si possono spendere 22.500 dollari; nella seconda ipotesi si arriva a 44mila“.

Secondo gli esperti, esistono due soluzioni possibili per non danneggiare l’utente finale: gli oleodotti che coprono percorsi alternativi alle rotte navali e l’aumento delle riserve di greggio, da parte dei singoli Paesi, per supplire a una riduzione improvvisa delle forniture.

Più in generale, il problema è quello delle strozzature nelle rotte chiave del commercio petrolifero: oltre ad Aden, gli stretti di Hormuz e di Malacca.
Di Aden si è già detto, Hormuz sarebbe a rischio in caso di un’escalation tra Iran e Stati Uniti.
Quanto a Malacca, nel 2007 vi sono transitate 70mila navi che, tra le altre cose, trasportano l’80% delle forniture energetiche di Cina e Giappone. E’ la principale via di comunicazione marittima tra il Dragone è l’India e vive un problema analogo a quello di Aden per quanto riguarda la pirateria, nonostante gli sforzi congiunti di Singapore, Malaysia e Indonesia.

Sul problema-pirateria e il commercio asiatico, segnalo anche un articolo di Asia Times.

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