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 Home page > Tribuna Libera > Perennemente immemore: l’Italia che lascerà Berlusconi

Perennemente immemore: l’Italia che lascerà Berlusconi

Il grande parafulmine della nostra coscienza nazionale sta per non esserci più (questione di settimane, forse mesi; le grandi manovre di sganciamento sono ormai ben avviate) e noi italiani saranno chiamati a guardarci allo specchio.

Il giorno dopo che Silvio Berlusconi se ne sarà andato, quando il Grande Satana (e già Salvatore della Patria) della nostra politica sarà diventato un ricco signore in pensione su qualche isola caraibica, non avremo più scusanti; non sapremo più a chi dare la colpa per le nostre debolezze, il nostro pressappochismo, la nostra faciloneria.

Avremo davanti a noi le rovine economiche e sociali causate da un trentennio di craxismo e berlusconismo e dovremo, dopo averle riconosciute per quel che sono, comprendere come abbiamo potuto rovinare a quel modo il nostro paese.

Dovremo fare quel che i nostri nonni, alla fine de fascismo, non fecero; dirci la verità.

Si raccontarono un sacco di frottole, gli italiani di settant’anni fa: la leggenda di un regime tenuto in piedi dalla repressione (tutti i regimi si reggono sul consenso; quello mussoliniano più d’ogni altro); di un’ Italia popolata di dissidenti e resistenti che non subirono mai il fascino del capo né mai approfittarono del regime.

Consentirono a chi era stato fascista di inserirsi nella vita politica e culturale della neonata democrazia, e fecero benissimo, ma senza richiedergli alcuna riflessione sugli errori compiuti; senza neppure pretendere una vera abiura.

La nostra comunità nazionale avrebbe dovuto ricordarsi della propria cattolicissima educazione e confessarsi.
Avremmo dovuto ammettere i nostri peccati, pentircene, fare ammenda e perdonarci. Non ammettemmo nulla, non ci pentimmo di nulla, e, di sicuro, non ci perdonammo.
Ci limitammo a dimenticare tutto in fretta;i fascisti divennero gli hyksos di gentiliana memoria e tutto quel che il fascismo aveva lasciato nella nostra società, nel nostro modo di pensare e nei nostri comportamenti, rimase com’era.

La storia non si ripete esattamente (questa volta tra il 25 luglio e il 25 aprile non passeranno due anni, ma, forse, le due date coincideranno) eppure, vista da lontano, l’Italia del 2011 sembra pronta a ripercorrere le strade di quella del dopoguerra.

Il giorno dopo la partenza per Antigua o la Crimea di Silvio Berlusconi nulla sarà cambiato nella nostra società, nella nostra cultura, nel nostro sistema informativo, e , gramscianamente, nulla cambierà davvero nella nostra politica.

Levato Berlusconi, anzi, del berlusconismo resterà il peggio. Sicuramente resteranno i peggiori: i servitori che dello scempio fatto della nostra democrazia sono stati complici; i mentecatti, o poco più, che alla benevolenza di Berlusconi hanno dovuto le proprie carriere politiche.

Facilissimo immaginare questi figuri, uomini che han dato prova della propria dirittura morale votando l’invotabile e della propria intelligenza rendendosi protagonisti di molte delle più brillanti iniziative di questo governo, rimanersene in parlamento, nelle file di un PdL dal trucco rifatto o in una delle formazioni, esistenti e nascenti, che accalappieranno il voto degli elettori delusi da Berlusconi.

Cicchitto, Scajola, Lupi, per certo Alfano, forse anche Gelmini e di sicuro tanti altri, continueranno ad essere nomi che contano anche nell’Italia di domani.

 A livello locale le cose andranno peggio, c’è da scommetterci. I podestà berlusconiani, magari dopo un passaggio in una lista civica, continueranno a restare uomini di potere, spesso senza neppure doversi levare la fascia tricolore: Berlusconi se ne andrà, ma i loro elettori ed i loro clienti resteranno. Pervicacemente se stessi; ostinatamente uguali a sempre. Fascisti un tempo, democristiani prima e pentapartitici dopo, berlusconiani oggi e domani chissà, ma sempre convinti che la politica sia solo un mezzo per il raggiungimento dei propri privati fini; che gli ideali vadano professati, ma non praticati. Sono gli italiani dispostissimi a vendere il proprio voto per un favore; per un posto in comune, un appalto o , semplicemente, la speranza di far pagare ad altri i conti.

Dimostreranno, ancora una volta, di non aver imparato la lezione; si racconteranno d’esser stati sempre “anti”, quei nostri compatrioti, e nessuno li smentirà.

Non cambieranno neppure gli inefficaci oppositori del berlusconismo; quelle forze che Silvio Berlusconi contrastarono molto a parole e pochissimo con i fatti.

La sinistra confusionaria e pasticciona che non è capace neppure oggi, con il regime pronto a liquefarsi, di parlare seriamente e sinceramente agli italiani. Che, nell’intima convinzione che i cittadini siano dei buoi incapaci di comprendere, cerca di nasconder loro gli sforzi che sarà necessario compiere per raddrizzare la baracca.


Una sinistra che alle proprie tare genetiche, prima d’ogni altra la straordinari capacità di frantumarsi su tutto, ma proprio tutto (io continuo a sostenere che pochi al mondo sono più ontologicamente di destra degli italiani di sinistra; non sono semplicemente individualisti: hanno il culto della propria unica ed esclusiva individualità), ha aggiunto i difetti che, forse per cercare di rincorrerne i successi, dal berlusconismo ha mutuato: il minimalismo delle argomentazioni e la voglia di rivolgersi con queste alla pancia della gente.

Una sinistra neo-populista che ha smesso, proprio quando ve ne sarebbe più bisogno, di parlare il linguaggio berlingueriano dell’onestà, del sacrificio e del senso del dovere. Che se non riscopre in fretta il meglio delle proprie radici rischia d’esser solo la co-liquidatrice dell’Italia.

Resteranno gli stessi anche giornali e giornalisti; uguali resteranno la loro partigianeria, il loro servilismo nei confronti dei potentati di riferimento. La loro incapacità di vedere la luna, dietro il dito.

Senza un giornalismo di risibile livello, l’Italia non sarebbe in queste condizioni; se i suoi cittadini fossero stati informati di quali erano i veri problemi del paese, di quali fossero i rischi, evidentissimi, dell’allegra conduzione delle finanze pubbliche negli ultimi 30 anni, non sarebbe ad un passo dal baratro.

Gli italiani hanno molti difetti, ma non sono né idioti né suicidi.
Sono e sono stati, sempre, disinformati.

Non è vero? Pensate alla campagna condotta da Repubblica e Corriere sul caso Noemi.
Pensato agli sforzi fatti per informare di ogni minuto dettaglio di quella storia; i mesi durante i quali le sono stati dedicati, giorno dopo giorno, i titoli della prima pagina.

Andava fatto? Secondo me assolutamente sì.

La domanda è: perché diavolo non si è seguita con altrettanta attenzione l’evoluzione del nostro debito? Perché ci si è limitati per anni a informare i lettori delle evoluzioni dei politicanti senza mai, neppure una volta, tentare di capire a che portassero queste manovre?

Pudore? Umiltà? Non direi proprio, visto che i mingitori a pagamento, nei loro editoriali, si lanciano ora in predizioni secolari sui patri destini.

Non ci volevano doti profetiche per comprendere che, prima o poi, il macigno del debito avrebbe cominciato a muoversi minacciando di schiacciare tutti; bastava fare qualche giro all’estero per comprendere che il deficit di competitività reale (al netto della costante riduzione del potere d’acquisto dei salari) del nostro paese si stava allargando.
Serviva solo il coraggio di cominciare una battaglia, quella per la riduzione del debito dentro a quella, più ampia per la moralizzazione della politica, in cui era difficile capire dove stessero gli interessi di molti. Di troppi. In cui l’unica cosa evidente era quel che ai nostri giornalisti, tutti e non solo i dipendenti di Silvio Berlusconi, importa solo in via del tutto secondaria: l’interesse del Paese.

Levato Berlusconi, se resteranno intatte la classe politica e i giornalisti che le hanno sempre tenuto bordone, non cambierà nulla.

Se continueremo, come cittadini, ad accontentarci dell’angolino più asciutto della caverna, lì continueremo a stare: nella stalla dei buoi mansueti.
Se resteremo a testa bassa, con qualche disillusione in più e qualche speranza in meno, ad aspettare l’arrivo di un altro ducetto, questi, ineluttabilmente, arriverà.

L’uomo nuovo non c’è ancora.

I colonnelli pronti ad aiutarlo, i giornalisti pronti ad osannarlo o a non contrastarlo troppo, l’opposizione pronta a dividersi per non opporglisi davvero e, soprattutto, gli italiani pronti a votarlo sono già lì, dove il berlusconismo li ha appena lasciati.

Perennemente immemori.

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