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 Home page > Tribuna Libera > Per dare una carezza ai sopravvissuti al terremoto

Per dare una carezza ai sopravvissuti al terremoto

Ogni uomo ha dentro di sé il proprio inferno ed il proprio paradiso.

Può trovare o perdere, nel proprio animo, la strada per andare dall’uno all’altro; può desistere, lasciarsi andare ed accontentarsi di un grigio limbo indolore o trovare la forza per scalare faticosamente i gradini del proprio purgatorio. Basta pochissimo, il bacio di un amore che nonostante tutto gli resta al fianco, la fiducia miracolosamente intatta di un figlio che ancora gli tende la mano, a tirarlo su per la salita; serve solo la fiammella di un sogno a rischiaragli il cammino.

Basta riuscire ad appoggiare una pennellata di rosa alla riquadro atro del proprio autoritratto per salvarsi; basta fare di quella punta di colore il proprio mondo per ricominciare, per ritrovare i gialli ed i rossi, gli aranci ed i bruni, le rime per fare poesia e l’energia per tornare a battere sullo scalpello.

Ognuno che abbia vissuto senza abbottonarsi stretto un cappotto sull’anima sa di cosa parlo. Ognuno che abbia affrontato la vita a viso aperto, scegliendo e pagando per le proprie scelte, sa cosa intendo: ha dovuto attraversare i propri deserti, sopravvivere ai propri lager, prima di trovare la forza per alzarsi da quella poltrona, andare a farsi una doccia ed uscire ad affrontare il mondo. Ha visto il mare con gli occhi di Martin Eden e le stelle con quelli di Van Gogh; ha rischiato d’essere sommerso, prima d’essere salvato. Ha dovuto seppellire i propri morti e piangere le rovine dei propri anni prima di poter ricominciare.

A nulla gli sarebbero serviti, in quei momenti, mentre il nero correva giù per la tela in spessi rigagnoli, i “te l’avevo detto” di onniscienti maestri a posteriori; a meno ancora l’esempio della stolida serenità dei rassegnati, di chi non ha mai perduto perché non ha mai neppure provato a giocare.

E’ stata la fede rimettergli tra le mani il pennello o la cazzuola; la coscienza che non è solo per sé che la morte si sconta vivendo e che il dolore del vivere si incontra spesso, ma non sempre. Che ancora ci sono i colori oltre il buio e il bello, l’armonia, oltre il frastuono dei tempi.

Aiuta la cultura: “l’esempio de’ nostri maggiori”; tanto quello di chi si è ritrovato sotto le bombe prima di noi e ce l’ha fatta, quanto quello di chi, per una ragione o per l’altra, ha dovuto soccombere. E’ fondamentale quella che Owen chiamava “la tenerezza di menti pazienti”: una sola carezza, nel silenzio, può bastare a fare la differenza.

E’ tutto quello che offro, assieme a poco del mio pochissimo denaro, a chi in Emilia e in Romagna, dopo il terremoto, deve ricostruire la propria vita.

Non ho invece, nella mia personale esperienza di sopravvissuto, alcun consiglio da dare.

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