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 Home page > Tribuna Libera > Patriottismo, nazionalismo, eccetera

Patriottismo, nazionalismo, eccetera

Non sono patriota. Anzi posso forse definirmi ‘antipatriota’.

Naturalmente si tratta di una posizione personale. Ma che voglio motivare con concetti più generali (oppure, diciamo, “universali”).

Certo, in questo periodo di celebrazioni del 150° anniversario dell’unità d’Italia, non è forse “educato” definirsi in questo modo. Ma se la penso così, perché dovrei cambiare idea solo perché c’è un anniversario di mezzo?

Si parla di ritorno ai ‘valori’ del ‘patriottismo’. E chi è fautore di questo ‘ritorno’ lo fa dandogli il senso di un’opposizione all’antipatriottismo o ‘anti-italianismo’ dei leghisti, da cui io sono lontanissimo. Ma perché dovrei professarmi ‘patriottico’ solo perché i leghisti sono ‘antipatriottici’? (Ma su questo torno più avanti).

Oggi, almeno in Italia, alla parola ‘nazionalismo’ si preferisce sostituire quella di ‘patriottismo’. Il ‘nazionalismo’ è stato macchiato dal bellicismo, dal colonialismo, da una politica aggressiva, e quindi non è più ‘politically correct’ utilizzarlo. Ma la differenza precisa dei significati dei due termini non è chiara. 

In modo un po’ sommario si potrebbe dire che il nazionalismo è il patriottismo cattivo e il patriottismo è il nazionalismo buono.

Se si chiedono ulteriori delucidazioni a chi professa un ‘patriottismo non nazionalistico’, forse ci si sente rispondere che il ‘patriottismo’ è un amore per la patria che non implica odio per la patria altrui. E va bene. Se questa definizione corrisponde al reale senso dato ai termini, certamente io preferisco le persone ‘patriottiche’ alle persone ‘nazionaliste’.

Tuttavia, non solo non mi sento nazionalista, ma nemmeno patriottico.

Per giustificare questa posizione devo fare un ragionamento un po’ astratto, e magari anche un po’ rigido.

Il patriottismo secondo me non è eticamente perfetto.

Nello spirito della morale kantiana, mio dovere morale è amare tutti gli uomini nella stessa misura. Questo non è psicologicamente possibile (ma nemmeno attenersi in modo perfetto alla morale è possibile) se per uguale amore intendo uguale sentimento nei confronti di tutti. Allora, invece di amore, usiamo una parola meno evangelica e più kantiana: rispetto.

È mio dovere avere lo stesso rispetto nei confronti di tutti gli esseri umani. E non rispettare alcuni più di altri. Ma l’uguaglianza dei diritti di tutti gli esseri umani implica il corollario che devo desiderare per tutti la stessa pienezza di godimento dei diritti umani.

Questo è compatibile col patriottismo?

I sostenitori del patriottismo non nazionalistico diranno di sì: amare i compatrioti non significa odiare gli stranieri. O addirittura (forse direbbe qualcuno) patriottismo e cosmopolitismo non sono incompatibili.

Questa affermazione non mi convince. È più un gesto retorico che non un’affermazione rigorosa. Se il voler bene ai compatrioti si traduce in azione sociale e politica, ciò porta ad un miglioramento del benessere dei miei compatrioti superiore all’aumento del benessere dei non compatrioti. In altri termini: se sono patriota desidero che (e opero affinché) i miei compatrioti godano di maggiore benessere, di maggiori risorse rispetto a quelli che compatrioti non sono.

Per fare un paragone di basso livello, è come il tifo sportivo. Non esiste una motivazione etica per cui io debba desiderare la vittoria della squadra calcistica per cui ‘tifo’ più che la vittoria delle squadre rivali. Sarebbe grottesca una preghiera alla divinità per ottenere la vittoria della squadra del cuore. Sarebbe come chiedere a Dio di scontentare i tifosi avversari che gli rivolgono magari una preghiera analoga e contraria. Sarebbe pretendere da Dio la parzialità. E Kant diceva che è blasfemo pregare Dio di farci dei ‘favori’, abbassandosi al nostro livello.

Religione a parte, anche la morale deve essere al di sopra delle parti, come Dio.

Ma questo ragionamento può sembrare troppo ‘puro’, troppo ‘asettico’. Un essere umano che voglia il bene di tutti gli esseri umani allo stesso modo è utopico. È vero, ma i principi sono sempre utopici. Il comportamento concreto deve cercare di non violare troppo grossolanamente questi principi, e avvicinarcisi un po’.

E allora, scendendo dal cielo dei principi e tornando alla terra dell’imperfezione, possiamo anche trovare una giustificazione parziale del ‘patriottismo’. Potrebbe coincidere con il principio ‘pensare globale e agire localmente’. Poiché non è umanamente possibile fare contemporaneamente e nella stessa misura il bene di tutti gli esseri umani, conviene dedicare maggiore attenzione agli esseri umani più vicini, che conosco meglio, nei confronti dei quali la mia azione può essere più efficace.

Ma ciò non giustifica, a mio parere, l’esaltazione del ‘patriottismo’ inteso come amore privilegiato nei confronti della propria nazione. La misura del ‘localismo’ può essere diversa secondo i casi: posso di volta in volta essere più efficace aiutando un famigliare che mi sta fisicamente vicino, oppure gli abitanti della mia città, oppure della mia regione, o della mia nazione, del mio continente, e in certi casi di tutto il mondo. La dimensione ‘nazionale’ non necessariamente deve essere una dimensione privilegiata.

Per chiarezza, preciso che il mio ‘antipatriottismo’ non solo è diverso, ma è il contrario dell’‘antipatriottismo’ della Lega o di movimenti politici simili. I Leghisti oppongono alla grande ‘patria’ italiana una ‘patria’ più piccola. Sono ‘antifederalisti’, nel senso che vogliono indebolire il legame federale tra le diverse regioni del paese, mentre ‘federare’ vuol dire, almeno, ‘alleare’, superando in parte l’egoismo locale. Io sostengo che la ‘patria’ è troppo piccola, non troppo grande.

Mi riservo di approfondire in un prossimo articolo altri aspetti di questa problematica, a proposito degli aspetti ‘biologici’ legati alle parole ‘patria’, nazione’. 

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