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Passioni della letteratura, miopie della storia

La messa in primo piano del primato dei sentimenti sui fatti nella narrazione degli eventi storici, il parallelismo fra sfera pubblica e sfera privata, la tensione del romanziere a dare conto dell’una e dell’altra, la forzatura e la drammatizzazione dei fatti per rendere il senso degli avvenimenti stessi agli occhi degli uomini.

Probabilmente sono questi i motivi per cui autori come Alexandre Dumas padre hanno sofferto di una decisa trascuratezza da parte dell’accademia, dalle istituzioni culturali, dalla critica.

A questo disinteresse prova a porre riparo Vittorio Frigerio, professore e direttore del Département d’études françaises dell’Université Dalhousie del Canada, studioso di letteratura popolare e di genere, che ha raccolto in volume (Vittorio Frigerio, Dumas l’irrégulier, Pulim, Limoges, 2011, € 25,00, pp. 190) i suoi studi sullo scrittore francese dell’Ottocento, autore di romanzi come I tre moschettieri e Il conte di Montecristo, giusto per citare i due forse più famosi.
 
Allo scrittore francese potrebbero essere applicate le parole che Alberto Abruzzese ha dedicato, nel suo ultimo saggio, a Nathaniel Hawthorne, Edgar Allan Poe, Charles Baudelaire: “Così l’anomia e la devianza inscritte nelle loro opere vengono accolte nello spazio estetico in quanto valutate come fattori di rischio per l’ordine sociale […] La critica letteraria e le sue teorie assumono quindi la funzione – a volte automatica e a volte strategicamente perseguita – di depurare la società, spurgarla della sua realtà mediale, della sua incontrollata immaginazione, liberarla da ciò che altrimenti ne rivelerebbe il lato più oscuro e dolente.” (2011, pp.44-45), con l’aggravante dell’esclusione ulteriore dalla letteratura “alta”.
 
L’egemonia di questa logica di rimozione – in una nazione in genere più che orgogliosa delle proprie glorie – è stata talmente forte che i lettori francesi che volessero leggere i romanzi di Dumas, per poterlo fare nella propria lingua, fino a pochi decenni fa erano costretti a rivolgersi alle edizioni d’importazione che provenivano dal Belgio o dalla Svizzera francese, paesi più attenti, evidentemente, a conservare e diffondere la narrativa “popolare”.
 
D’altra parte, il destino dello scrittore, di essere relegato – in edizioni purgate e ridotte, naturalmente – alla lettura di ragazzini e adolescenti, è stato condiviso da altri grandi scrittori di avventure, di viaggio, di immaginazione come Robert Louis Stevenson, Daniel Defoe, anche Jules Verne, per certi versi, come d’altra parte Walter Scott, l’iniziatore del romanzo storico, citato da Frigerio proprio su queste questioni: “Le passioni, le sorgenti da cui queste devono sgorgare in tutte le loro trasformazioni sono generalmente le stesse in tutte le classi e condizioni, in tutti i paesi e le epoche…” (p. 33, traduzione nostra).
 
E questo non solo in Francia, ma più o meno in tutto l’Occidente. Scarsa sensibilità, decisamente, nei confronti dei territori che l’immaginario esplora per render conto dei bisogni immaginativi del pubblico in un periodo in cui la modernità finisce di affermarsi e completa la colonizzazione dello spazio geografico extraeuropeo e del tempo precedente l’istituirsi della metropoli e della fabbrica come forme fondanti della società.
 
Non c’è spazio per l’avventura, per il conflitto, per le passioni e i sentimenti. Questa sfera va bene per le letture del tempo libero, disimpegnate e adolescenziali – ma fuori della legittimazione delle istituzioni.
 
Realizzando – pensiamo al caso dell’Italia – beffardi e involontari boomerang: confinato il romance in una sfera “bassa” rispetto alla “Letteratura”, marchiatolo con lo stigma del disimpegno, si costringono da decenni generazioni di ragazzini a studiare a scuola I promessi sposi di Alessandro Manzoni, ad esempio, sguinzagliandoli a caccia di una presunta “ironia manzoniana” e di altre arabe fenici letterarie, senza chiedersi minimamente a quali classi di età e di lettori lo scrittore volesse rivolgersi, ottenendo probabilmente come risultato o il dis-piacere radicale della lettura (Daniel Pennac nel suo Come un romanzo [1993] ha scritto pagine definitive, sulla questione), o – laddove questo sopravviva – il rifugiarsi esattamente nella narrativa popolare, di massa, di genere o comunque lo si voglia chiamare.
 
La poetica di Dumas, invece – e qui pensiamo alle considerazioni che Frigerio dedica a Les Compagnons de Jehu, romanzo che narra di una banda di giovani nobili che cerca di finanziare la reazione vandeana depredando i fondi dell’impero – si basa sulla narrazione delle vicende private dei personaggi, narrando una verità che non è quella della storia ma quella, appunto, della letteratura, fondata su ciò che la storia non può dire, ma che il romanzo può immaginare e raccontare, appropriandosi di una dimensione – quella del pathos – che rende il racconto “più vero del vero”.
 
La letteratura, lo sappiamo, è menzognera (Campbell, 2011), ma nel senso che rielabora le vicende, cerca di estrarne un senso differente, immanente alle vicende stesse, più profondo rispetto a quello che solo a posteriori possiamo trarre – con una logica che in fondo è pura metafisica, residuo idealistico della ricerca – dai fatti storici di per sé.
 
La dimensione privata, affianco e opposta alla sfera pubblica, marca uno dei punti di tensione cruciali della modernità, quello dove precipitano i bisogni dell’individuo e le istanze della società, nel continuo conflitto/negoziato fra spinte centrifughe e centripete che segna l’addentrarsi nella società moderna.
 
E la reazione individuale agli eventi, le scosse interiori che questi comportano, i sentimenti che provocano trasformandosi in ricordi, in memoria – anche nella memoria immaginaria di eventi romanzeschi o romanzati – contribuiscono anche alla definizione delle identità del pubblico dei lettori, “opinione pubblica” sui generis, che così si crea una memoria immaginativa affine – diremmo attigua – alla memoria collettiva (Halbwachs, 1996).
 
Il romanzo, inteso come mezzo elettivo di riflessione della società moderna su se stessa, nel momento in cui afferma definitivamente il suo primato e le sue istanze, si riarticola in varie direzioni.
 
Se – da certi punti di vista – il tronco principale è costituito dal “romanzo di formazione” che pone al centro della riflessione il discorso dell’istituirsi del soggetto moderno, individuo unico, irripetibile, ma problematico, introspettivo, un ramo portante diventa quello delle narrazioni che pescano prima di tutto nell’immaginario sovrannaturale tradizionale, torcendolo in direzione del macabro, del sangue, della crudeltà, come nel gotico, e creando comunque una sfera in cui l’immaginazione narrativa possa orientarsi nella direzione della liberazione delle passioni, delle istanze del sentimento e del corpo (Abruzzese, 2007, Auger, 2011, Fattori, 2011), creando piattaforme su cui costruire la rielaborazione della storia da un lato, esplicitare i sentimenti da un altro, descrivere gli eventi più cruenti e le passioni più forti da un altro ancora.
 
Nella cornice dell’estetica romantica quindi conquista spazio una cifra esotica che colonizza lo spazio con il romanzo di avventure, il tempo col romanzo storico. Sperimentando, quasi a predisporre l’ingresso del cinema nel panorama della comunicazione, tutti quei meccanismi, luoghi, artifici che costruiranno le tecnologie della narrazione della cultura di massa e dell’industria culturale matura: anticipazione, suspence, mistero, sorpresa, riconoscimento…
 
Nel centro del Romanticismo – e nel pieno di grandi trasformazioni storiche: si pensi all’entusiastica partecipazione dello scrittore alla avventura dei “Mille” di Giuseppe Garibaldi – Alexandre Dumas colloca il suo lavoro, esplorando e affinando tutti i formati e i marchingegni narrativi, spaziando dal Re Sole alla rivolta vandeana, dalla Rivoluzione francese alla Rivoluzione napoletana del 1799, dal realistico al fantastico, come in Orrore a Fontenay (1977), sperimentando la forza prima di tutto visiva della scrittura narrativa.
 
E scrivendo uno dei romanzi più feroci e misteriosi, più oscuri e veri sul tema della vendetta, origine e calco di tutte le narrazioni successive sul tema – ultima, la serie televisiva Revenge Il Conte di Montecristo.
 
Dalle pagine del saggio di Vittorio Frigerio – della sua capacità di legare attenzione all’analisi storica, critica a quella conoscenza “impiegatizia” tipica di una certa consuetudine accademica, omaggi ai maestri della semiotica della narrazione (forse troppo presto liquidata, nella frenesia di liberarsi in nome dei tanti “post”, delle “grandi narrazioni” e delle loro articolazioni interpretative) come Roland Barthes e Umberto Eco, – emerge a pieno la centralità della figura dello scrittore francese negli sviluppi dell’immaginario successivo, in vista dell’orizzonte del Novecento.
 
(di Adolfo Fattori)
 
Abruzzese A., Il crepuscolo dei barbari, Bevivino, Milano, 2011.
Abruzzese A., La grande scimmia Mostri vampiri automi mutanti, Luca Sossella, Roma, 2007.
Campbell F., Padre e memoria Tra fiction e neuroscienze, Ipermedium, S. Maria Capua Vetere, 2011.  
Auger E. E., Tech-Noir Film A Theory of the Development of Popular Genres, Intellect, Bristol, UK / Chicago, Usa, 2011
Dumas A., Les Compagnons de Jehu, Bibliolife, Usa, 2009.
Dumas A., Orrore a Fontenay, MEB, Milano, 1977.
Fattori A., Emily E. Auger: Infinita fertilità del Mito, oscuro sentimento del Moderno, in “Belphégor Littérature Populaire et Culture Médiatique”, Vol. X, n. 3 décembre 2011, 
http://etc.dal.ca/belphegor/vol10_no3/articles/10_03_fattor_auger_fr.html
Halbwachs M., I quadri sociali della memoria, Ipermedium, Napoli, 1996.
Kelley M., Revenge, Abc Studios, Usa, 2011.

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