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Parigi: Charlie è morto, viva Charlie

Parlare dei fatti tragici e della morte delle vittime davanti e dentro la sede di Charlie Hebdo è doveroso, ma davvero difficile.

I rischi di scivolare non tanto nel pietismo che, ai limiti, sarebbe anche comprensibile, quanto nel vendicativo o, viceversa, nel giustificazionismo a tutti i costi, sono rischi terribili. E orribili entrambi.

Parliamoci chiaro: il retroterra di questa aggressione sanguinaria e ottusa è amaro per noi. Per noi occidentali, intendo. Perché far finta che non siano esistite, a monte, le infinite trame occidentali sarebbe segno di malafede (e non intendo solo americane, ma anche sovietiche e prima ancora inglesi e francesi e tedesche e magari ricordiamoci pure del colonialismo italiano) e sarebbe malafede ignorare che queste trame abbiano ampiamente originato un odio sconfinato.

Malafede tanto quanto, specularmente, lo è il far finta - e sono numerosi quelli che fanno finta - che l’unica politica estera (declinata più o meno nella sua versione stragista e di strategia della tensione) sia quella praticata dall’occidente. Non è così. Anche i paesi islamici hanno una loro politica estera, spesso molto articolata e tutt'altro che specchiata; fatta spesso di intrighi e ricorsi più o meno velati alla brutalità. Non parliamo poi dei movimenti islamisti di varia colorazione.

E’ su questo terreno infido, sfumato, paludoso e cruento che si innesta l’ignobile controffensiva degli islamisti di Parigi che, dalla strutturale debolezza tecnologico-militare del mondo islamico, hanno dedotto l’arma, non meno distruttiva, della vendetta e della provocazione.

La quale provocazione ha due obiettivi e produce due risultati. Il primo obiettivo è intimorire un’opinione pubblica già frastornata dalla crisi economica, dalle tensioni politiche nell’eurozona, dall’impossibilità di gestire l’economia globale e i flussi migratori.

Il secondo obiettivo è l’ovvia conseguenza del primo: spingere a destra, e far arroccare sulla difesa più incattivita dei valori occidentali, l’intero elettorato e quindi l’intera classe politica europea. Partendo da quelle che hanno il maggior numero di islamici sul proprio territorio, Francia e Germania. Marine Le Pen raccoglierà probabilmente il frutto avvelenato degli attentati di Parigi e delle altre città francesi.

E questo ci porta ai due risultati, che sono evidenti: rendere il rapporto tra autoctoni e immigrati, di prima o anche successive generazioni, il più difficile possibile, contando sulla tradizionale incapacità francese di reggere la sua contraddizione insolubile: assimilare o cancellare. Solo assimilandoli gli immigrati diventano “buoni” e accettabili. E qui la sinistra ha gioco facile con il suo universalismo ragionevole. Ma se, grazie all’inasprirsi della tensione, non sarà più praticabile - o credibile - l'assimilazione, vera o apparente che sia, l’istinto sterminatorio dell’occidente tornerà fuori. E la sinistra non avrà più alcuno spazio politico, esattamente come è successo alla sinistra israeliana, schiacciata fra il terrorismo provocatore e suicida delle formazioni palestinesi estreme e la proposta politica ipermuscolare della destra.

Il secondo risultato è facilmente intuibile: dare un'identità - in questo caso malata, delirante e suicidale - ai molti giovani di tradizione islamica (ma anche ai neoconvertiti di origine europea) rimasti stritolati fra un'assimilazione impossibile e un sostanziale "non essere", del tutto insostenibile.

Nella situazione incattivita prossima ventura i gruppi etnici non autoctoni saranno sottoposti a drammatiche ritorsioni di stampo fascio-leghista (qualche moschea ne ha già assaggiati i colpi proprio oggi) e a discriminazioni sociali e poliziesche più pesanti di quanto non conoscano già ora.

E a quel punto la frattura, sempre più insanabile, aprirà spazi politici ai gruppi islamisti che attrarranno giovani più di ora; e chi tenterà di convivere pacificamente sarà liquidato come “collaborazionista”. Non è impossibile immaginare come andrà a finire. Sono previsioni pessimistiche che si fanno già da tempo.

Quello che succede in questi anni in Europa fa parte dunque di una strategia che sarà difficile contrastare; e tantopiù sarà difficile impedirne un esito drammatico.

Ricordiamolo: attentati alla stazione di Madrid nel 2004, alla metropolitana di Londra l’anno dopo, al museo ebraico di Bruxelles, alla scuola ebraica di Tolosa, gli attentati di Montauban e di nuovo Tolosa, fino all’attività dei “lupi solitari” in auto a Nantes e Digione e al fenomeno dei giovani combattenti di Allah (arabi o europei convertiti) andati a combattere in Siria e poi tornati a casa con qualche cognizione bellica e molto fanatismo folle.

Gente addestrata sufficientemente per sparare con un kalashnikov a qualcuno che non se lo aspetta, magari già ferito e a terra, ma non a compiere azioni di guerra con efficienza, freddezza, precisione e lucidità: sono caratteristiche che mancano clamorosamente agli attentatori di Parigi e che, qualcuno ha già interpretato come “ambiguità” tali da far sospettare una “manina” occulta, dietro alla “mano” assassina.

Ma l’opinione pubblica europea, che si sconvolge, giustamente, per quello che succede ai vignettisti di Charlie Hebdo, tragicamente dimentica che gli attentati di matrice islamica avvengono a cadenza quasi quotidiana. Perlopiù proprio nei paesi musulmani. Basta un’occhiata a qualche indagine. 

O almeno prendere atto che Boko Haram ha ucciso, sembra, duemila persone solo ieri; è quasi lo stesso numero dei morti di Gaza dell'estate scorsa. E solo a dicembre i morti nel mondo sono stati più di cinquemila, 170 al giorno. Ma chi se ne è accorto?

Tutto ciò parla di una pianificazione “di massima”, di una strategia non necessariamente dettagliata, che spinge fortemente verso quello scontro di civiltà cui Huntington accennò anni fa e di cui Houellebecq ha parlato nei suoi ultimi romanzi di fanta (?) politica.

Ma basta solo accennare a una "strategia islamista" che immediatamente parte l’insinuazione complottista; come la dietrologia soft di Giannuli sul blog di Beppe Grillo (“insomma, molto probabilmente la strage è islamica, però… che gran puzza di bruciato!") finito poi sul più dietrologista - e antisemita - dei siti francesi.

Poi c'è quella più esplicita di Ascanio Celestini su Il Fatto Quotidiano che ricorre al solito “cui prodest” ("Charlie Hebdo, a chi serve questa guerra?") fino ai prevedibili antisionisti a tempo pieno che già accusano - poteva mancare? - il Mossad esattamente come qualche tempo fa accusavano il califfo al Baghdadi di essere un ebreo travestito.

Tutto ciò per dare e darsi spiegazioni che ritengono razionalmente accettabili secondo i loro criteri. Come se il terrorismo islamico fosse incomprensibile.

Come se fosse incomprensibile il gesto orribile e sanguinario di due squinternati capaci di ammazzare una dozzina di persone solo perché un giornale ha pubblicato delle vignette su un tizio, morto da secoli, di cui probabilmente non conoscono niente se non il nome.

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