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Parate e sprechi: così la politica si allontana dalla gente

 

Napolitano non cambia idea e il popolo non perdona: la grandeur dell’Italietta deve celebrarsi ai Fori. Intanto i Vigili del Fuoco non sfileranno: “Non siamo marionette”. E i soldi investiti nelle grandi opere…

La cosa che più sorprende è che non ci si stia rendendo conto di quanto la società italiana sia frammentata nelle sue componenti, ormai distante anni luce dai propri rappresentanti.

Il Presidente della Repubblica, fiero iniziatore del regime bank-o-kratico diretto da SuperMario Monti, non cede sulla parata del 2 giugno: si sprecheranno soltanto un paio di milioni di euro che sono stati già spesi (da buon uomo di partito, ragiona come i segretari di partito per l’ultima tranche di finanziamento pubblico, quella da incassare a luglio e già spesa).

La popolarità del presidente, astratto garante di un’unità nazionale che sta contribuendo in prima persona a mettere in discussione, scende in picchiata: ha la freschezza generazionale di un papiro egiziano, è puntuale come un finto Rolex di fabbricazione cinese, non si è assolutamente reso conto che grandissimo momento di coesione nazionale avrebbe potuto essere l’annullamento di una stupida parata di principi schiaccianoci pronti a marciare sotto un palco di rappresentanza.

Sarebbe bastato poco per riavvicinarsi al popolo, rispondendo positivamente alla legittima richiesta di sospendere i festeggiamenti per la festa della repubblica, tributando il lutto nazionale alle persone scomparse drammaticamente nei terremoti che hanno colpito l’Emilia.

E invece no, si è preferito non dare segni di debolezza davanti alle sensate rivendicazioni del popolo: un regime non deve cedere, pena l’annientamento. Il risultato di questa assurda linea di condotta è che la rete diventa una bolgia di dissenso da cui la figura del capo dello stato esce massacrata, vilipesa. Meglio un segnale rassicurante ed autoreferenziale sul benessere di una casta di parassiti, che la responsabilità di rinunciare ad un festeggiamento nei drammatici giorni del sisma emiliano.

Re Giorgio si difende: le polemiche sarebbero strumentali, ma Forlani nel 1976 non si fece problemi annullando la parata per rispettare il disastro del terremoto del Friuli. I rimpianti per Scalfaro e Cossiga aumentano quotidianamente.

Anche l’esecutivo non ha perso l’occasione per mostrare ancora una volta la propria incapacità: i due centesimi di accisa sui carburanti per locomozione rappresentano la summa della politica montiana. Dopo il bel favore fatto alle compagnie assicurative con la riforma della Protezione Civile (dal 17 maggio lo stato non risarcirà i danni sofferti dalle abitazioni colpite da cataclismi), sua incapacità Mario Monti non ha idea di come fronteggiare un’emergenza di quelle che alla Bocconi non prendono neanche in considerazione.

Abbiamo accolto un accademico col crisma del Salvatore, ci ritroviamo un benzinaio che ritocca i prezzi al rialzo per mascherare le carenze della propria gestione. Nessuna parola sulle “grandi opere” da rinviare in momenti come quello attuale, in cui è indispensabile una politica di risanamento delle zone distrutte dal terremoto e la messa in sicurezza di buona parte del territorio nazionale: perché nei prossimi anni sarà necessario adottare gli accorgimenti tecnici necessari per evitare altri disastri come quello di Mirandola e San Felice sul Panaro.

Altro che “TAV” tra Torino e Lione: l’unica alta velocità da considerare è quella con cui bisogna impedire che questa storia si ripeta. E perché non dirottare quei fondi, e destinarli alla ricostruzione del distretto produttivo più florido d’Italia?

Ma siamo tranquilli: arriverà un bocconiano brizzolato a difenderci dalle forze del male, alzerà il prezzo della benzina fino alla soglia dei due euro. E la zona del modenese scomparirà dalla geografia dei distretti economici del nostro paese.


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