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PAUL MOTIAN, box di 6 CD (ECM 2260 – 65)

Sei dischi che rivelano le qualità compositive del grande batterista e band leader

 

L’importanza di questo cofanetto è che il primo CD, LP all’epoca, Conception Vessel, fece conoscere il Paul Motian compositore, grazie a Manfred Eicher, produttore dell’etichetta, di Monaco di Baviera, il quale gli propose di registrare un disco di sole sue composizioni.

Prima di allora, il batterista era visto soltanto come accompagnatore, anche perché chi suona la batteria viene considerato più o meno bravo ad assecondare il leader di turno. Nel suo caso, i massimi esempi sono stati, nell’ordine, Bill Evans, Paul Bley e Keith Jarrett, con il quale, tra il 1967 e il 1992, Motian incise 17 dischi.

Registrato il 25 e 26 Novembre del 1972 ai “Butterfly and Sound Ideas Studios” di New York, Conception Vessel prende il titolo del brano inciso in duo con Keith Jarrett. L’affiatamento e la stima reciproca consentono di dar vita ad un brano basato su improvvisazioni che partono da una melodia iniziale, che via via viene dimenticata a favore di una battaglia di frasi nervose tra pianoforte e batteria.

Jarrett è presente anche nel brano successivo (sono sei in totale), American Indian : Song of Sitting Bull, in cui Motian si esprime prevalentemente attraverso suoni di piccole campane e colpi alle pelli dei tamburi, rullante compreso, ma scegliendo di togliergli la cordiera. Il brano si potrebbe definire un precursore di una World Music successiva, che strizza l’occhio al pubblico, con la scusa di far collaborare tra loro musicisti di diverse estrazioni.

Il finale è un quartetto agguerrito, nel quale, accanto all’affiatato duo batteria/contrabbasso (Charlie Haden), si insinuano i suoni strazianti del violino di Leroy Jenkins e quelli più morbidi del flauto di Rebecca “Becky” Friend.

Il disco si era aperto mettendo in luce la sensibilità e la tecnica delicata di Sam Brown, un chitarrista interessante, scomparso troppo presto (19 gen. 1939 – 27 dic. 1977), che nel brano d’esordio, Georgian Bay, suona lo strumento acustico assieme alla sezione ritmica. Lo si ritrova anche nel terzo brano, Rebica, di nuovo in trio, ma qui suona la chitarra elettrica.

Tra i due brani, se ne insinua uno breve di batteria e percussioni, Ch’I Energy, in cui il leader, più che dar prova di bravura tecnica, da cui ha sempre rifuggito, vuol dimostrare che un certo modo di pensare alle percussioni, può creare un brano ricco di colori, sfumature e con una storia da raccontare.

IL CD successivo, Tribute, (5 musicisti accreditati) fu registrato nel maggio del 1974 ai “Generation Sound Studios” di New York.

Come scrive il pianista Ethan Iverson, che suonò con Motian (addirittura al Village Vanguard di New York, in trio con Larry Grenadier dal 2 al 6 marzo 2011!), nelle note di copertina, il disco continua con uno spirito simile al precedente. Il titolo potrebbe alludere indirettamente ad una dedica a Charlie Haden, la cui Song for Che, apparsa nel primo album della Liberation Music orchestra, conclude il disco. Questa canzone, insieme con War Orphans, sono gli unici titoli del cofanetto non provenienti dalla scrittura del leader.

Il primo brano, in quartetto, Victoria, è una deliziosa ballad, un dolce lamento disegnato dalla chitarra acustica di Sam Brown. Non compare un secondo, meno conosciuto chitarrista, Paul Metzke, che è presente nel pezzo successivo (sono cinque in totale), Tuesday Ends Saturday, mentre esce l’altosassofonista Carlos Ward. Su uno sfondo leggermente Rock - in cui il piatto Crash è sempre presente, con l’aggiunta di un China, che mi accorgo rappresenta una sonorità amata da Motian -, si inseriscono bene entrambi i chitarristi allo strumento elettrico.

Desolata e triste, la successiva War Orphans, con il suono delle corde strappate caratteristico di Haden e le chitarre a dialogare, nuovamente senza sax. Motian diffonde il suono con il Ride chiodato, commentando l’assolo di Haden e aggiungendo numerosi accenti all’unisono piatti/tamburi. Riaffiorano le chitarre (si sentiva la mancanza della loro dolcezza), che indirizzano il brano verso un tranquillo finale.

E’ il momento del pezzo più lungo, la seconda ballad di Motian, Sod House. Questa volta il quintetto è al completo. Un caldo soffiato del sassofono si inserisce malinconicamente nel prospetto preparato dalle chitarre, entrambe elettriche. C’è un primo solo di Brown, nuovamente una sorta di appello, di richiesta di aiuto per migliorare uno stato d’animo alle prese con pensieri oscuri. Allora rientra il sassofono, a cercare di portare un po’ di conforto : il ritmo si velocizza, il saggio Haden dà buoni consigli con il contrabbasso, dal suono profondo, ma morbido, a volte con note strappate. E’ il momento di separarsi, commenta il sax, ritornando confortati al mestiere di vivere.

Sam Brown ritorna alla chitarra acustica per introdurre Song for Che. Espone il tema e già ci sentiamo nel continente americano. Il contrabbasso di Haden contrasta tanta dolcezza con un bordone ossessivo, finché i due riprendono la dolcezza iniziale. Haden rimane da solo a riflettere, mentre, sullo sfondo, Motian fa affiorare esili sonorità metalliche, simili a un cinguettìo. Si fa risentire l’acustica di Brown, per riprendere il dialogo interrotto. E’ una specie di Tombeau, dedicato ad un personaggio storico che combatteva per la libertà dei popoli.

Due ottime incisioni in trio con due contrabbassisti diversi. Nella prima, Dance, registrata a settembre del 1977 e, come le altre a seguire, al “Tonstudio Bauer” di Ludwigsburg, c’è David Izenzon, che fece parte del trio con Ornette Coleman e Charles Moffett; nella seconda, Le Voyage, registrata nel marzo del 1979, troviamo J.F. Jenny-Clark, presenza frequente, negli anni ‘60, negli album di Don Cherry. Al sassofono, tenore e soprano, un musicista di valore, venuto a mancare due anni fa , Charles Brackeen (13 mar. 1940 – 5 nov. 2021).

Il carattere dei sei brani in scaletta, in Dance, è decisamente free, anche se si percepisce una preparazione a tavolino, in modo che le diverse improvvisazioni abbiano tutte un senso logico.

Di Motian si apprezza il suo non voler mai primeggiare e di costruire degli assolo non roboanti, ma che con pochi tratti sonori risultano incisivi nell’equilibrio tra gli strumenti.

Ne è un esempio la traccia 2, Dance, che dà il titolo all’album. Noto uno Snare Drum dalla pelle molto tirata, ma con poca cordiera, come Elvin Jones nella parte finale della sua parabola artistica, e il suono profondo, con note basse, del timpano.

Izenzon usa molto spesso l’arco, soprattutto negli assolo. Convincente in entrambi i fiati Brackeen, lirico o veemente, secondo il carattere del brano.

Sono cinque i brani in Le Voyage, definito da Ethan Iverson, il più bel disco del 1979.

Ascolto dopo ascolto comincio ad apprezzare sempre più il drumming da leader di Motian. La sua fantasia con le bacchette, il 4/4 con le spazzole usate assieme al piatto China, i cambiamenti di metronomo, che si fa veloce dopo un gustoso assolo in Abacus, nel quale è da sottolineare e apprezzare una lunga cadenza al tenore di Brackeen. Eleganti gli assolo di contrabbasso di J.F. Jenny-Clark, importanti per far riposare i partners, al fine di ripartire con grinta maggiore.

Gli ultimi due CD testimoniano l’inizio della lunga, felice collaborazione tra Motian e la coppia Bill Frisell (chitarra)/Joe Lovano (sax tenore). Il debutto avvenne in quintetto, con contrabbasso e due fiati (il secondo è Billy Drewes, sassofonista tenore e contralto, che sarà sostituito da Jim Pepper).

E’ una bella formazione, quella di Psalm, registrato nel dicembre 1981. Lo spazio maggiore è affidato a Frisell, che offre diverse sonorità, tutte affascinanti e attraenti e che viene, forse, premiato dal leader, che gli dedica Etude, una tenera, toccante ballad.

Si mantiene sempre parco, Motian, eppure risulta significativo, quando decide di dar vita a brevi assolo, preferendo tamburi e Snare Drum senza cordiera. Spesso si mette in disparte a significare, forse, un momento di riflessione su come e se intervenire nello sviluppo di ogni composizione.

I fiati hanno pochi assolo, ma quando iniziano, insieme o separati, ogni brano acquista spessore.

Simpatico, un ritmo simil-rumba, che Motian sceglie per Mandeville, che aveva già usato in Byablue, il disco del cosiddetto quartetto americano di Keith Jarrett, contenente 5 brani su 7 compostri da Motian.

Il cofanetto si conclude con It should’ve happened a long Time ago (sette composizioni), registrato nel luglio del 1984, il primo di una trinità (secondo Either Iverson) che proseguirà per 10 anni (dal 1984 al 1993).

A dimostrazione della stima che Frisell/Lovano nutrivano per Motian, ricordo che i due hanno continuato a suonare con lui, non ostante avessero avviato una carriera da Jazz Stars.

Già nel brano che dà il titolo all’album, si percepisce la bellezza e la gioia del trio di suonare assieme. E’ come una cantilena, quella che canta il sax, di una favola che si conclude con il trionfo del bene sul male.

Totalmente diversa e, per chi scrive, preferibile, la versione in trio di Conception Vessel, rispetto a quella del duo Jarrett/Motian. E’ più rilassata, ha maggior respiro, rispetto alla precedente, più nervosa.

Nuovamente un brano in solitudine, Introduction, per la varietà di suoni creata, con un sapiente utilizzo dell’elettronica, da Bill Frisell.

India è un brano elegiaco in cui al drum set canonico, Motian aggiunge campanellini, gong e shakers, rendendo il tutto più frizzante.

In the year of the Dragon mantiene un tempo medio, avvalendosi nell’esposizione tematica, all’inizio e alla fine, del suono corposo di Joe Lovano. Davvero qui, come altrove, l’assenza del contrabbasso non è una mancanza, non se ne sente l’esigenza. Si crea un interplay ancora più ricco.

Two women from Padua conclude il CD. Un impeto e una veemenza sembrano impadronirsi del leader, il quale però, dopo uno scoppiettante fraseggio sui tamburi, si ferma di colpo. Rimangono Frisell e Lovano a procedere fianco a fianco comunicando una sensazione di spaesamento che prosegue, attenuandosi, fino al termine del brano.

Stephen Paul Motian (Philadelphia, 25 marzo 1931 – New York, 22 novembre 2011) era figlio di genitori armeni, nati in Turchia, trasferitisi negli Stati Uniti nella speranza di una vita migliore.

Interessanti le note di Iverson, che ha ricordato che la nonna di Motian Yazgol DerMoushegian, venne uccisa dai soldati turchi, durante il genocidio armeno del 1915.

 

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