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I concerti del Palazzetto Bru Zane

Comincia nel migliore dei modi – qualità e apprezzamento del pubblico – il Festival Il Filo di Fauré

 

Le Role de la Musique est d’ailleurs bien celui-là : mettre en valeur le sentiment profond qui habite l’ame du poète et que les phrases sont impuissantes à rendre avec exactitude.

Il ruolo della musica è proprio questo : far emergere il sentimento profondo che abita l’animo del poeta e che le frasi non sono in grado di trasmettere con precisione (Gabriel Fauré).

Il protagonista del festival di primavera del Palazzetto Bru Zane, Centre de Musique Romantique française, è Gabriel Fauré (Pamiers, 12 maggio 1845 – Parigi, 4 novembre 1924), il quale prima di affermarsi come compositore , fu dal 1866 organista di Saint Sauvier a Rennes e dal 1870 di Notre-Dame de Clignancourt a Parigi.

Dopo la sintetica presentazione della rassegna a Venezia e alcuni accenni all’attività internazionale, da parte del direttore artistico Alexandre Dratwicki, di Rosa Giglio, coordinatrice artistica e di Camille Merlin, coordinatrice di ‘Bru Zane label’ e degli altri partner discografici, e un intenso recital di buon augurio dell’appassionata pianista Lorène de Ratuld, che ondeggiava a destra e a sinistra, seduta sulla seggiola riservata al pianista di turno, ecco nel week end i primi due degli otto concerti in totale.

Come sempre, è stata la Scuola Grande San Giovanni Evangelista ad ospitare il concerto di apertura, alla presenza della mecenate Nicole Bru, ultra ottantenne, seduta in prima fila.

Oltre al Maestro, il festival intende celebrare i molti artisti che sono stati suoi allievi.

Il concerto ha visto in pedana il pianista Simon Zaoui e il Quatuor Strada, già ascoltato in diverse occasioni a Venezia, questa volta con una nuova musicista, il secondo violino Tanaka Ayako, che proprio nell’anno in corso ha sostituito Sarah Nemtanu. Invariati gli altri componenti, Pierre Fouchenneret, primo violino; Lise Berthaud, viola ; François Salque, violoncello.

Due le composizioni in scaletta. La prima, Quatuor avec piano en Sol mineur, è un omaggio di Roger-Ducasse (1873 – 1954) al suo venerato Maestro.

Ci vollero 13 anni per completare un lavoro iniziato nel 1899, articolato in quattro movimenti omogenei, solidamente costruiti. Lo stile di Ducasse è possente, ricco di contrasti, basato su un linguaggio modale e cromatico, influenzato sia dalla tradizione francese, che dal mondo germanico. A seguire, Quintette avec piano en Re mineur n.1, di Fauré, in tre movimenti.

Iniziata nel 1890, quest’opera, più volte abbandonata e ripresa, poiché i risultati, secondo l’Autore, sembravano insoddisfacenti, si completò nel 1905, e venne eseguita per la prima volta giusto 118 anni fa, il 23 marzo 1906, con il Quartetto Ysaye.

Un suono molto pieno, dal respiro ampio e con un maggiore volume sonoro, forse dovuto anche alla presenza di un arco in più, il Quintetto si sviluppa senza apparenti difficoltà, con un’aria di spontaneità davvero molto, molto ingannevole, secondo il commento di Fauré, alla fine dell’esecuzione.

Simpaticamente gradevole, durante l’Allegretto moderato conclusivo, il dialogo tra il pianoforte e il pizzicato degli archi. Concentrati e puntuali, i musicisti hanno ricevuto applausi a iosa, tanto da concedere un breve bis, l’Adagio dal Secondo Quartetto di Fauré.

Il pomeriggio successivo, la raccolta sala del Palazzetto, completamente riempita, è rimasta avvolta dall’interpretazione di un’antologia di Mélodies, 19 per la precisione, in prevalenza di Fauré ; di Saint-Saens, che fu il suo insegnante di pianoforte ; di Claude Debussy ; di Henri Duparc ; degli allievi Maurice Ravel, Nadia Boulanger, Florent Schmitt, Ernest Chausson, Roger-Ducasse.

Ad interpretarle, con competenza e passione, un duo di musicisti già ammirati in passato, come ha sottolineato il direttore artistico, augurandosi di riascoltarli in un prossimo futuro.

I loro nomi, Cyrille Dubois, tenore e Tristan Raes, pianista. Potrebbe sembrare il tenore, il musicista che emerge, ad un primo ascolto, ma non è così. Se si pone attenzione al suono e al fraseggio del pianoforte, ci si può rendere conto che la bellezza vocale e la tecnica di Dubois si arricchiscono grazie alla personalità di Raes, artista estremamente stimolante e di sostegno nei momenti forti, delicato e sognante quando la sonorità gradualmente decresce.

Maestro indiscusso del genere, Fauré compose 111 Mélodies, dal carattere raffinatamente classico. I testi musicati erano poemi di letterati più e meno conosciuti, come Victor Hugo, Stéphane Mallarmé, Paul Verlaine, Jules Renard, Jean de la Ville de Mirmont e altri ancora.

Le Mélodies erano equamente suddivise in quattro sezioni : I. L’instinct des sentiments ; II. S’affranchir du Romantisme ; III. Initier la modernité ; IV. L’héritage.

Il pubblico, consapevole del rischio di spezzare un incantesimo, turbando la concentrazione e l’ispirazione dei musicisti, ha tributato i meritati applausi solo alla fine di ogni sezione. Ma non è riuscito a contenersi nel finale, applaudendo ininterrottamente, finché il duo si è fermato in pedana per eseguire tre Mélodies, tutte di Faurè : 1. Le Secret ; 2. Aprés un reve ; 3. Adieu (Les poemes d’un jour).

Il Palazzetto, prima del Festival, aveva ospitato un’interessante conferenza, in occasione della festa della donna, intitolata “La longue durée della ricerca compositiva femminile”.

Relatrici Vincenzina C.Ottomano, storica della musica e docente all’Università Ca’Foscari, specializzata nel teatro musicale ottocentesco e contemporaneo e la compositrice Lucia Ronchetti, in procinto di concludere il mandato quadriennale in qualità di direttore artistico della Biennale Musica di Venezia.

Ottomano ha preso in esame le differenti esistenze di quattro compositrici – Mel Bonis (1858 – 1937) ; Lili Boulanger (1893 – 1918) ; Cécile Chaminade (1857 – 1944) ; Clémence de Grandval (1828 – 1907) -, della cui produzione un giovane trio – Elise Bertrand, violino ; Jérémy Garbarg, violoncello ; Gaspard Thomas, pianoforte – avrebbe interpretato a fine relazione alcune loro opere.

In sostanza, almeno fino al secolo XIX°, si potrebbe affermare, prendendo a prestito il titolo di una canzone di John Lennon, che la donna è il negro del mondo.

Le aspiranti musiciste, desiderose di applicarsi alla musica, non potevano iscriversi al Conservatorio. Potevano studiare soltanto privatamente, e quindi solo chi poteva economicamente permetterselo.

Solamente nella seconda metà dell’Ottocento le donne potevano studiare composizione, anche se il loro programma era distinto da quello degli uomini e non era un caso che, come per le scrittrici, usassero uno pseudonimo maschile nel firmare le loro opere.

Lucia Ronchetti ha mostrato come piano piano nella musica contemporanea si siano fatti passi da gigante. Le compositrici oggi vengono conosciute, apprezzate, premiate, mentre i critici abbandonano i pregiudizi dei secoli precedenti.

Ha citato l’esempio di Kaija Saariaho (Helsinki, 214 ottobre 1952 – Parigi, 2 giugno 2023), che lei stessa ha premiato con il Leone d’oro alla carriera alla Biennale Musica 2021 “per lo straordinario livello tecnico ed espressivo raggiunto nelle sue partiture corali e per l’originalità del trattamento della voce”.

Molto buona la prova del trio, dotato di una tecnica considerevole, arricchita dall’utilizzo di strumenti d’epoca, quali un violino di Giuseppe Gagliano (Napoli, 1796) e un violoncello di Francesco Ruggieri, fabbricato a Cremona alla fine del XVII° secolo.

Il Festival prosegue sabato 13 aprile alle 16 e 30, per la prima volta all’Auditorium Lo Squero nell’isola di San Giorgio, grazie ad una coproduzione con Asolo Musica e con la collaborazione de La Chapelle Musicale Reine Elisabeth.

In programma il Quartetto per archi e pianoforte n.1 in Do minore, op.15 di Fauré e il Quartetto con pianoforte n.1 in Re maggiore, op.16 di Georges Enescu (Liveni Enesco, 19 agosto 1881 – Parigi, 4 maggio 1955).

Interpreti : Hawijch Elders, violino ; Natanael Ferreira, viola ; Aleksey Shadrin, violoncello ; Frank Braley, pianoforte.

Foto: Palazzetto Bru Zane/Facebook

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