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Novità editoriali. Come darsi la zappa sui piedi (o Su la testa)

Novità editoriali. Come darsi la zappa sui piedi (o Su la testa)

La storia è una brutta bestia, o ti si mangia vivo o ti dà alla testa. Questa è stata la prima definizione che mi sono sentito di dare alla lettura sommaria della nuova rivista di Rifondazione Comunista “Su la testa” diretta da Lidia Menapace e Fabio Sebastiani. Lidia è una persona che ho seguito e che ammiro da anni, con la quale mi sono trovato quasi sempre in accordo su tanti temi. Addirittura su di lei, sulla sua storia, ho girato perfino un documentario. Fabio è un collega che conosco da anni e con il quale ho condiviso alcuni passaggi sia dentro che fuori Liberazione. Pur avendo, quindi, grande rispetto per le idee e il percorso di due direttori, mi sento liberi di esprimere quello che penso. Lo so che la definizione dell’incipit è decisamente spietata, ma tant’è. Non posso farci niente, un giudizio è un giudizio anche se riguarda degli amici.

Mi spiego. La rivista è di per sé molto “datata”, ma essendo nata come espressione di Rifondazione (e in particolare di quello che è Rifondazione oggi) non mi ha stupito più di tanto. Ma è la lettura dell’editoriale di apertura del secondo numero di questo nuovo giornale (firmato la direzione) che mi ha lasciato davvero sconcertato.

Cito testualmente:

“… la rivista ha una struttura abbastanza definita e precisa: per questo dobbiamo prendere alcune decisioni sulle procedure della sua fattura ed eseguirle sia pure senza burocratismi, ma evitando anche indistinzione e confusione o casualità. Il problema è semplice dal punto di vista descrittivo: essendo stata avviata da una decisione della Direzione che ha anche nominato i tre che oltre al Segretario compongono la direzione, essa è la rivista del partito e del suo disegno di rifondazione comunista e di federazione della sinistra. Eseguire questa decisione non è invece sempre facile e per questo la composizione della redazione appare ancora un po’ troppo CdA, come diceva Lidia Menapace presentandola su Liberazione. Più facile è fare una pubblicazione di corrente, che avendo un unitario disegno di allargamento della propria ipotesi, raggiunge una più facile unanimità. Invece la rivista di un partito che ha al suo interno riconosciute diversità e non da poco, non può però tenerne conto quantitativamente. Si può rispondere citando alcuni famosi conflitti tra direzione politica e dibattito culturale: ma gli esempi più noti non sono consolanti, a cominciare dallo scontro e dalle burrascose relazioni tra Togliatti e Vittorini, tra il Pci e Calvino, fino ai direttori de L’Unità, dal primo all’ultima”.

Su cosa sia e cosa debba fare una rivista di partito ognuno ha una sua opinione e ognuno fa quello che vuole. Però questo brano è pieno di contraddizioni. Da un lato si dice che è espressione della Direzione del partito e del Segretario, dall’altro che si vuole evitare di schiacciare le varie anime (anche quelle dell’opposizione interna) presenti nel partito stesso. Non so se questo primo brano sia espressione di un disagio e di disaccordi (già al primo numero?), ma la citazione dei casi Vittorini e Calvino… non si sta esagerando un po’? Non ci si sta prendendo un po’ troppo sul serio? Comunque alla fine la “linea” c’è ed è chiarissima: “… non può però tenerne conto quantitativamente”. Chi ha orecchie per intendere…

Ma andiamo avanti.

“Credo che noi dovremmo cercar di avviare un percorso diverso, a partire dalla constatazione che la complessità sociale è davanti a noi e che essa è difficile da leggere interpretare ecc.; e che se la si “riduce” (che è il disegno prescritto nella proposta luhmanniana) l’approdo è di destra comunque, o il populismo o il plebiscito, insomma un risultato autoritario. Vogliamo invece imparare a leggere il molteplice, non solo il plurale, il molteplice anche diversamente fondato, anche teoricamente non componibile. Una grande sfida della ragione concreta. E’ del resto il cammino stesso di una politica della pace, che deve partire dai conflitti, riconoscerli e governarli, per attraversarli senza negarne l’esistenza e andare oltre senza perdere il rapporto con la realtà”.

Citazione alta, anche se difficilmente comprensibile per chi non ha la formazione intellettuale e di “scuola”. “…imparare a leggere il molteplice, non solo il plurale, il molteplice anche diversamente fondato, anche teoricamente non componibile”.

Poi una nota organizzativa niente male per una rivista che vuole essere di dibattito:

“Anche per queste ragioni significative, oltre che per altre più minute e pratiche, diciamo che a questa rivista si collabora generalmente su invito della direzione: se arriverà un nuovo Marx o una nuova Rosa cercheremo di non fare la brutta figura di non riconoscerlo/ a. O anche su proposta della Redazione. Ma in ogni modo: tipo di scritto, sua ampiezza e data di consegna sono da concordare con la direzione e da mantenere strettamente. Siccome il massimo carico di lavoro ricade sulla segretaria di redazione, in particolare i rapporti con Angela Scarparo debbono essere precisi”.

Lo so che è non elegante, ma a cosa è dovuta questa nota nell’”editoriale” di apertura del numero due di questa rivista? Si è lamentata la moglie del Segretario della disorganizzazione dei collaboratori? Che dire, ha ragione la Scarparo: chi scrive spesso non ha alcun senso pratico e notoriamente ha una vita disordinata ed è impreciso nei rapporti.

Ed ecco quindi una bella lezione sul giornalismo di partito, per una rivista di partito, edita dal partito:

“Se si viene invitati a scrivere un editoriale, deve essere un editoriale, cioè un articolo di presa di posizione, non narrativo né analitico, politicamente motivato. Se viene richiesto un servizio su un tema, allora lo spazio è maggiore e la scrittura può avere esempi analisi racconto; ma i termini di consegna debbono essere rispettati comunque o segnalata subito l’impossibilita di mantenerli, in modo da poter essere sostituiti. Quanto ai contributi da collocare in “Pensieri critici” o in “Passato e presente”, se si tratta di recensioni possono essere inviate direttamente alla rivista. Queste parti vogliono essere anche un luogo aperto per suggerire letture eventi culturali, rievocazioni dì epi sodi storici locali trascurati, come eventi della resistenza, dell’antifascismo, narrazioni di lotte, storie di emigrazione ecc .. “.

Poi c’è il pubblico. E capito qual è il target (molteplice) si punta all’offerta (non molteplice):

“I libri devono essere di mole modesta, non accademici, rigorosi e chiari, perché i nostri lettori e lettrici non saranno intellettuali di mestiere, ma compagni e compagne, persone che hanno voglia di essere aiutati a sapere e capire, non hanno né il tempo né una vita di lavoro così lieve da avanzare tempo e forza per studiare: dunque libri che si possono leggere in treno, nella metro, in cucina. Per capire il mondo e incominciare a pensare come si può realmente mutarlo, scritture che possano trasformarsi in letture pubbliche, rappresentazioni teatrali, mostre fotografiche o di disegno o manifesti per le Feste di Liberazione”.

A questo punto sono rimasto senza parole. Compagni e compagne che vanno “aiutati”? Ma stiamo scherzando? Se io fossi un presunto (presunto è il termine esatto) destinatario dell’offerta politica e editoriale di questa rivista mi sentirei insultato da quel “persone che hanno voglia di essere aiutati a sapere e capire”. E tutti questi decenni in cui si è parlato di “auto formazione”, “cultura condivisa”, accesso alla formazione e alla libera circolazione dell’informazione e dalla cultura? Si dicevano cazzate? Era tutto una presa in giro? Poi alla fine, visto che tu lavoratore che hai una vita talmente di merda che non ti avanza forza e tempo “per studiare”, rassicurati: c’è “Su la testa” che studia per te e che ti dice cosa devi leggere (in treno, in metro, in cucina). “Per capire il mondo”, ovvio. Quelli de “Su la testa” lo sanno come gira il mondo.

E alla fine il futuro della rivista, gli argomenti dei prossimi numeri:

“Il numero 3 avrà come “Questione” L’Europa, i14 La proclamazione del Regno d’Italia anche per evitare lo tsunami patriottardo cui saremo sottoposti nel 2011 e per individuare il ruolo purtroppo importante e pervasivo delle destre (fino ai nostri giorni), di cui forse ci occuperemo nel numero 5. E ci sembra di aver detto per ora tutto”.

Anche io credo di aver detto tutto.

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