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Non solo Egitto e Tunisia, anche Bahrain e Kuwait: piccole rivoluzioni crescono

La rivoluzione araba non risparmia nemmeno i piccoli emirati, molti dei quali reami retti da monarchie imparentate l'una con l'altra. Se la rivoluzione dovesse sfondare in questi piccoli regni benedetti dall'abbondanza del petrolio, l'Arabia Saudita ne sarebbe minacciata molto più di quanto potrebbe esserlo dalla rivoluzione nello Yemen. Già terrorizzata dal crollo del regime egiziano, al quale Abdallah aveva offerto di sostituire gli aiuti americani se gli USA li avessero ritirati come ipotizzato, la monarchia saudita assiste ora con apprensione alle disavventure dei parenti, senza trarre consolazione dalle parallele disavventure della teocrazia iraniana.

Più o meno tutti i governi di quella parte del Golfo Persico hanno provato ad affrontare le proteste con "la soluzione dell'uomo ricco". In Bahrain hanno distribuito 2.500$ a ogni cittadino e abbassato i prezzi degli alimentari, in Kuwait sono arrivati a 3.500$, ma non è bastato in nessuno dei due casi. Il Kuwait doveva diventare un paradiso della democrazia dopo che gli americani lo avevano restituito alla famiglia reale cacciata a suo tempo dall'invasione irachena voluta da Saddam. Qualcosa dev'essere andato storto anche lì, perché il Kuwait è ancora una monarchia assoluta.

Paesi ricchi, dove però la ricchezza nazionale viene dirottata nelle tasche delle famiglie reali o in discutibili speculazioni immobiliari in perfetto stile-Dubai.

Al momento l'emirato più a rischio sembra Bahrain, che con una popolazione al 75% sciita, retta da una monarchia assoluta sunnita non offre molto spazio di manovra al governo. Il primo giorno sono scesi in piazza in mille e la polizia li ha dispersi, facendo un morto. La polizia dell'emirato non è molto esperta di confronti di piazza e gli ordini erano evidentemente di disperdere qualsiasi assembramento. Tanta è stata la foga che hanno sparato così tanto gas da rimanerne vittima per primi, dicono di decine di poliziotti che hanno vomitato per strada.



Il secondo giorno al funerale dell'ucciso erano in duemila, è bastato uno che tirasse un sasso alla polizia per ricominciare, un altro morto, ma il corteo funebre è arrivato a destinazione. Poi sono diventati diecimila e il re ha cambiato gli ordini, la polizia ha lasciato fare e i dimostranti hanno dimostrato, piantato le tende in centro e promesso che le manifestazioni non finiranno. La parodia d'opposizione nella parodia di parlamento si è dimessa.

bahrain

Le domande dei dimostranti sono secche e difficilmente accettabili dalla monarchia, che da assoluta si ritroverebbe soggetta a un Parlamento di eletti e non più nominati, a un passo dalla repubblica. Le dimissioni dello zio del re dalla carica di primo ministro che detiene da trent'anni e la fine della concessione della cittadinanza agli stranieri assunti nei ranghi della polizia, sono solo dettagli di un quadro decisamente proccupante per la famiglia reale.

I dimostranti per ora sono galvanizzati, il regno conta poco più di un milione e duecentomila abitanti, dei quali solo cinquencentomila sono i cittadini dell'emirato, molti dei quali non sono convinti che non sia quel paradiso che piace tanto agli ospiti e tutto si gioca nella capitale Manama, dove diecimila in piazza non si erano mai visti. Le prime concessioni e l'esempio di Tunisia ed Egitto hanno convinto moltissimi che la battaglia possa essere vinta con una mobilitazione non-violenta. Il tempo dirà delle convinzioni del re e del ruolo che giocheranno i residenti e gli interessi stranieri.

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