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Nevica d’inverno sugli Alemanno d’Italia

E sempre, tutto l'anno, su tanti dirigenti, funzionari e dipendenti d'ogni livello delle pubbliche amministrazioni.

Fossero solo i politici ad essere incapaci, in Italia...

Fosse così, i romani, constatato definitivamente quale sia il livello intellettuale e morale del proprio sindaco (la sua polemica sui 35 millimetri/centimetri è tra le cose più stupide che abbia sentito anche in questi anni così tragicamente stupidi; la sua incapacità di assumersi la minima responsabilità, in questo caso come in tanti alti, lo fa apparire un patetico adolescente mal cresciuto), non avrebbero che da sostituirlo con qualcuno di più capace per risolvere i problemi che la loro città ha anche quando splende il sole.

Fosse così, dovremmo solo ripetere l'operazione a livello nazionale per rimettere in moto il nostro paese.

I disagi creati da un evento infrequente, ma non certo eccezionale, come le nevicate di questi giorni, sono piuttosto l'ennesima dimostrazione della stato in cui si trova, quasi ad ogni livello, la nostra pubblica amministrazione; un disastro, da attribuirsi a pratiche pluridecennali di governi nazionali e locali d'ogni colore, a cui nessuno, neppure Monti, sembra voler porre mano.

E’ evidente che Roma, con il suo clima generalmente mite, non possa avere le risorse per ripulire celermente tutte le proprie strade in occasione delle rare nevicate; è anzi buona amministrazione non sprecare mezzi per un compito che potrebbero non essere chiamati quasi mai ad assolvere.

E’ demenziale, però, in una città dove ad ogni modo nevica, che non esista un’organizzazione per far fronte a queste evenienze; che non esistano delle strutture, certo non complesse come quelle di Stoccolma, pronte ad entrare automaticamente in funzione, con o senza l’imput del Sindaco, in caso di nevicate, per garantire perlomeno la viabilità lungo le principali direttrici ed i servizi essenziali.

Una situazione, e siamo al più completo ridicolo, che si è ripetuta un po’ ovunque, a sud come al nord, anche in zone in cui la neve , ogni inverno, è una certezza; un fallimento generale, prima che di questo o quel politico, degli organismi tecnici di comuni, aziende di servizi, province e regioni.

La vera colpa della nostra politica non è quella di aver reagito male all’emergenza; è quella, infinitamente più grave, e non riducibile ad un singolo politicante, per quanto ridicolo ed incapace, di aver creato una pubblica amministrazione degna di un paese del terzo mondo e, per di più, costosissima.

Un termine, quel “terzo mondo”, che non ho usato né a caso né a sproposito: secondo una classifica stilata nel 2010 per conto del World Economic Forum, la pubblica amministrazione italiana era al 97esimo posto al mondo, tra quella turca e quella messicana, per rapporto costo/efficienza.

La nostra sanità pubblica, perlomeno al centro-nord, funziona tanto bene come quella di qualunque paese europeo, mentre la nostra scuola pubblica (se pure in caduta libera per quanto riguarda la qualità dell’insegnamento, stando alle inchieste dell’OCSE) resta perlomeno decente; tutto o quasi il resto del nostro settore pubblico è allo sfacelo.

Dovrebbe essere considerata questa la nostra più vera emergenza, se si pensa a quanto incida sulla qualità delle nostre vite; se si considera che, a fronte di un bilancio dello stato di 800 e più miliardi l’anno e di una tassazione che ha raggiunto e superato i livelli scandinavi, non vi è nel nostro paese la minima traccia di quello che nel resto d’Europa si chiama stato sociale.

Uno stato di cose che non possiamo più permetterci, ma che nessuno fa nulla per cambiare.

Una volta di più, detto tutto il male possibile della nostra classe politica (che pure abbiamo scelto noi), dovremmo porre in questione il nostro modo d’essere cittadini; la nostra maniera di considerare la cosa pubblica.

Le pratiche clientelari, che hanno fatto del nostro pubblico impiego quello che è, sono state possibili anche perché milioni di noi sono stai dispostissimi a farsi clientes. La scarsissima efficienza di tanti uffici pubblici è certo dovuta a mancanza di mezzi e d’organizzazione, responsabilità di politici e dirigenti, ma anche alle cattive abitudini, inconcepibili nel settore privato, di tanti dipendenti pubblici: di tanti di noi che pensano, come i nostri connazionali evasori fiscali o chi tra noi lucra ingiustamente sugli appalti, che ciò che è pubblico non sia di tutti, ma di nessuno; che rubare allo Stato, il proprio stipendio in questo caso, non sia rubare.

Un buon esempio di quanto dico, non certo l’unico e forse non il peggiore (ho trovato in rete dei dati risalenti all’amministrazione Veltroni, ma nulla fa pensare che le cose possano essere granché cambiate), è fornito proprio dal Comune di Roma: nel 2007, ogni giorno, per i più diversi motivi, non si sono recati al lavoro tra il 25% ed il 30% dei suoi 27.000 dipendenti.

Impiegati comunali dalla salute cagionevole che per permessi e malattie quell’anno aveva perso, in media, 32,5 giorni lavorativi a testa; delicatissima poi la salute dei vigili urbani, rimasti a casa per 38,6 giorni oltre a quelli delle ferie.

Nessuna intenzione di criminalizzare nessuno, ma, senza incorrere nelle isterie di Brunetta o scendere al livello della Lega, non si può più tacere che esista un serio deficit motivazionale, per dir così, dentro la nostra pubblica amministrazione; che la mancanza di senso di responsabilità di tanti amministratori locali e nazionali trova la sua controparte nello scarsissimo senso del dovere di tanti dipendenti pubblici.

L’inadeguatezza della risposta davanti all’emergenza causata dalla neve, si spiega (certo solo in parte) anche con questo: non si può pensare che possa a fare un passo in più, davanti a condizioni inusuali, chi non è neppure disposto, come volenti o no fanno tutti gli altri italiani, ad andare ogni giorno a fare, semplicemente, il proprio lavoro.

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