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Nel giorno della Memoria. Le teste dei maiali e l’ignavia dei complici

Non bastano delle teste di maiale, le tre inviate sabato alla sinagoga di Roma, all’ambasciata israeliana e ad una mostra sulla cultura ebraica, e quelle di chi ha deciso di spedirle, a fare di noi italiani degli antisemiti.

Non bastano, ma aggiunte a tante altre gocce corrosive, di cui chiunque abbia dimestichezza con la rete può trovare facilmente esempi, sono la testimonianza che la feccia, per dirla con Montanelli, che sta risalendo il nostro pozzo, sta portando con se i peggiori liquami della nostra storia.

Liquame, quello dell’antisemitismo che si sta espandendo per tutto il continente e che, con gran vergogna di noi europei, è fondamento della dottrina politica di perlomeno uno, quello del premier ungherese Orban, dei partiti che governano i nostri paesi.

Una situazione che conferisce un rinnovato valore, uno status di necessità, alla celebrazione della giornata della memoria. Memoria di tutte le vittime degli orrori nazisti, certo, e non solo di quelle di religione o “razza” ebraiche. Memoria anche di un deliro collettivo che non fu solo tedesco e che portò allo sterminio di gitani ed omosessuali, oltre che degli ebrei; le stesse identiche minoranze oggetto, oggi, del disprezzo dei peggiori nazionalismi che appestano l’Europa.

Identico, in fondo, il motivo di fondo della barbarie: la necessità, per individui e comunità confrontate con il fallimento proprio personale e delle proprie scelte politiche, di trovare, tra i diversi, tra chi non è omogeneo, conforme, dei capri espiatori.

Questo, trovare qualcuno a cui addossare la colpa della sconfitta nella Grande Guerra, prima, e del disastro economico di Weimar, poi, sta alla radice dell’antisemitismo nazista; meglio, lo rese, se non popolare, sicuramente accettabile alla stragrande maggioranza dei tedeschi.

Questo, trovare qualcuno a cui imputare le proprie difficoltà economiche, magari risultato di scelte sbagliate decenni fa e di altre mai prese, pur essendo evidentemente necessarie, è la ragione del rigurgito razzista, prima ancora che solo antisemita, che nei paesi europei più colpiti dalla crisi sta condizionando le scelte della politica e avvelenando la società civile.

Paesi come il nostro, che si è rovinato con le proprie mani, in un paio di decenni di spese folli, dove ampi strati della società, che magari di quelle spese furono i primi beneficiari, non aspettano altro che di vedersi indicato dal populista di turno quegli “altri” cui attribuire la colpa di tutto.

Evasori ed assenteisti, corrotti e corruttori, baby pensionati e falsi invalidi che non hanno bisogno di un istante di riflessione per essere d’accordo nell’incolpare delle nostre difficoltà l’Europa, l’America, i tedeschi, le banche… e, certo, il passo per loro è a questo punto brevissimo, gli ebrei.

Un antisemitismo che non urla, questo che noi italiani abbiamo appena riscoperto; che solo mugugna. Che ha il volto di chi confonde la religione ebraica con lo stato d’Israele e le sue, peraltro criticabilissime, politiche. Che parla con la beneducata voce di chi non capisce la necessità di celebrare ogni anno qualcosa di tanto lontano nel tempo; qualcosa che, sussurrano, chissà se è avvenuta davvero e davvero in quelle proporzioni. Che tace, come chi non sa e non vuol sapere, e comunque vuol solo farsi gli affari propri.

Nostri connazionali cui farebbero bene le parole di Brecht che sicuramente vi saranno venute in mente.

Loro non è la ferocia degli aguzzini; tra uno scrollar di spalle, una sciocca risatina alla barzelletta antisemita, una scusa subito offerta alla battuta razzista del politico e un “non mi riguarda”, è loro solo la eterna, facile ignavia dei complici.

 

Foto: jay galvin/Flickr

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