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Natale 2013, diventiamo l’inchiostro nella penna che scrive il nostro destino

 Le vigilie sono sempre periodi strani. Mi capita, ormai puntualmente, di vivere questi giorni con una particolare intensità emotiva, tanto da azzerare ogni tentativo maldestro di mantenere un certo distacco per poter meglio digerire eventi e avvenimenti che mi hanno accompagnato a un’occasione come il Natale, di consueto fatidica per tirare un po’ di somme.

 Perché le occasioni come le feste natalizie sono come dei segnalibro della storia umana, personale e anche collettiva che ognuno di noi conserverà nel futuro. Tant'è che spesso facciamo riferimento al Natale dell’anno x per segnare confini, raccogliere ricordi, spiegare fatti e circostanze.

 Beh, questo Natale non è meno speciale degli altri. Anzi, forse, in alcuni dettagli e forme, andando a caratterizzare e plasmare il nostro presente, risulta essere sempre molto, molto speciale. Il 2013 è stato per molti di noi un anno impegnativo, nella migliore delle ipotesi, ma orribile nella peggiore.

Per me è stato un banco di prova che ha ulteriormente forgiato aspetti del mio carattere, merito soprattutto di questa crisi che, al di là di ogni statistica, ha messo in ginocchio anche i migliori di noi. Non parlo solo delle aziende che chiudono o della mancanza di denaro, si badi bene, ma anche della perenne sfiducia seminata e raccolta in questi anni dai politici, dai banchieri, dalle Istituzioni e anche dai nostri stessi comportamenti, spesso incivili o autolesionisti, che continuiamo caparbiamente a serbare. Così mi sono spesso trovato, come tante altre persone, a sentire il peso di questo sentimento collettivo, ad avere le spalle chine e la testa pesante, ho sentito forte la voglia di mollare e anche quella di scappare da un luogo, una terra, un paese che sentivo infelice e chiuso in se stesso. Ma poi, anche solo per dannata abitudine, è bastato alzare lo sguardo per accorgermi che la vita, l'innata tendenza alla empatia tra i nostri cuori, continuava a cambiare e migliorare le cose. Ho visto un giovane uomo creare la sua nuova famiglia, me stesso programmare e immaginare la mia, ho visto piccoli progetti di cuore e di impresa vincere i tempi e i “frattempo” della terribile macchina burocratica che è diventata l'Italia.

Ho incontrato e vissuto, per piccolo e stravagante caso, spesso in palazzi anonimi, il paradosso di chi aveva creato bolle di realtà dove si produce innovazione, lavoro, cluster di giovani speranze. Ho trovato due persone che si amano, tanto splendidamente pazze da accudire due bambini di pochi mesi e strapparli alla miseria e al degrado scommettendo sull'amore e non sui tanti rischiosi cambiamenti che hanno affrontato e ancora affronteranno. Ho riabbracciato qualche amico che ha preferito la sua amata e terribile terra ad una carriera splendida ma lontana dalle sue radici. Ho poi osservato la nascita e anche la morte di molte iniziative, ma soprattutto la volontà e la forza di chi, continuando a crederci, non si ritiene sconfitto ed insiste nel tentativo di creare il suo futuro. 

Ho infine ascoltato il mio cuore. L’ho fatto tutte le volte che sembrava mancasse un battito per la paura e lo scoramento e ho scoperto che il rumore non spariva. Diventava solo più greve e profondo, nel tentativo di prendere la rincorsa necessaria, per darmi più energia. Ho scoperto infine che ogni disperazione può diventare speranza, ogni paura ardimento, ogni mancanza può trasformarsi in un'occasione per migliorare le cose. Quindi non molliamo, lo so, è difficile, ma se cercate, vedrete che non siete soli, troverete nei piccoli gesti degli altri i semi dei grandi mutamenti. E vi accorgerete che, se mettiamo amore anche nel nostro piccolo lavoro, nel nostro essere persone e che se a questo aggiungiamo la meraviglia di essere italiani e la rabbia sacrosanta per le cose che non vanno, alla fine cambieremo tante cose, anche quel destino che a volte sembra essere segnato e che invece non ha ancora scritto nessuno. Perché ci saranno pure penne pronte a disegnarlo, ma l'inchiostro siamo e restiamo senza dubbio noi.

 
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