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 Home page > Attualità > Economia > Sopravvivere o vivere nell’Italia post pandemia

Sopravvivere o vivere nell’Italia post pandemia

Non so se possiamo definirci come sopravvissuti, il fatto è che al momento lo siamo. Abbiamo superato la pandemia virale e siamo in attesa di capire che mondo ci aspetta.

 
In primis, abbiamo compreso quanto il tema salute sia stato sottovalutato dai governi: tagli, sottostime, sprechi hanno inciso gravemente sulla tenuta e sulla costruzione di un sistema sanitario, ancorato a logiche premoderne, poco meritorie, localistico e talmente regionalizzato, da non riuscire a mettere in piedi una strategia della salute comune a livello nazionale. La resistenza che il mondo delle imprese ha mantenuto alla digitalizzazione, allo svecchiamento del rapporto cliente-consumatore, si è infranta contro la necessità del distanziamento sociale. Immaginate come potevamo affrontare la chiusura degli esercizi commerciali grazie al delivery, a vetrine digitali e a servizi di quartiere: una grande selezione naturale si è imposta ora facendo strage di chi non si era allineato alle tecnologie. 

Le nostre industrie (soprattutto i campioni del Nord), concentrate esclusivamente sull’export e sulla produzione per i distributori e clienti esteri, hanno subito in maniera improvvisa ed inaspettata la chiusura delle frontiere ed il crollo verticale, non solo della produzione, ma dell’impossibilità ad immaginarsi nel prossimo futuro nella stessa dimensione di oggi.
Altre si affannano alla ricerca di un mercato nazionale, che però non esiste. La crisi della globalizzazione segnata dal virus non potrà mai significare la rinascita dell’autarchia, per un Paese manifatturiero come l’Italia.


I cittadini, intanto, privati della libertà, si aggirano confusi tra un decreto e l’altro e, soprattutto, si riscoprono più poveri. Il nostro Paese si avvia a uscire dalla crisi ancora più malato, privo di quella forza che ci seppe far rialzare nel Dopoguerra.
Tutto è finito? No. Ma dobbiamo registrare con realismo i dati che le grandi agenzie internazionali ci propongono: dati che mostrano come il nostro Paese abbia subito economicamente più di altri il coronavirus e che rischia di recuperare più a fatica.

Si può cambiare marcia, ma serve visione e coraggio.

Soluzioni da mettere in campo ce ne sarebbero. Tutto sommato molto semplici: potremmo ad esempio decidere di non tassare (anche solo per quest’anno) gli utili delle aziende prodotti nel 2019, se gli stessi fossero reinvestiti nelle imprese, aumentandone così la capitalizzazione, antico problema delle nostre PMI. In questo modo, eviteremmo un salasso per molti insostenibile.
Potremmo e dovremmo accelerare ed investire il più possibile sulla digitalizzazione del Paese, innanzitutto puntando sulle infrastrutture necessarie, azzerando le migliaia di procedure previste per gli investimenti nella creazione d’impresa, soprattutto quelle legate alla Green economy, applicando regole semplici e severe: “conosci la legge, rispettala, costruisci, realizza e produci; se non la rispetti, lo Stato requisirà quanto non conforme”.
Relativamente al lavoro, dovremmo approfittare di questo momento per abbassare il più possibile il cuneo fiscale ed azzerare l’IRAP, tra le imposte sicuramente la più infame. Facciamo di questa battaglia un’opportunità o avremo perso la guerra per il futuro. È possibile. Serve coraggio e il momento è adesso.

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