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Napoli: precari in svendita per la rivendicazione di diritti fondamentali

Continua a campeggiare come un’insostenibile spada di Damocle sulla testa dei tanti ragazzi (studenti, precari effettivi o futuri) che entrano ed escono dalla stazione Università di piazza Bovio lo striscione piazzato stanotte dal comitato partenopeo de “Il Nostro tempo è adesso”. Dice “Vogliamo stessi diritti per stesso lavoro”.

A notte fonda, un gruppo di ragazzi ha inscenato - in quella che per la stragrande maggioranza dei napoletani resta piazza Borsa – una svendita precaria. Sagome senza volto, dotate però di codice a barre, vendute al massimo ribasso. È l’ennesima azione messa in campo dal “cartello” di reti di precari e associazioni giovanili nato nel 2011 - a seguito della manifestazione del 9 aprile - per elaborare piattaforme e politiche a contrasto della precarietà.

Tante le azioni realizzate sul territorio nazionale: agit-prop e flashmob nati allo scopo di dare voce ai tanti giovani precari e precarie che si sentono relegati in una condizione di totale subordinazione e debolezza.

A Napoli, il comitato locale che vede tra le associazioni riunite, coordinamento dei giornalisti precari, Link e UDS, Nidil e Giovani non + disposti a tutto CGIL, precari dell’Università, ADI, ANA, giovanili di partito, e altre, si è cimentato in iniziative fantasiose in grado di unire alla denuncia un linguaggio finalmente lontano dal politichese e realmente fruibile ai ragazzi.

La svendita precaria è allora solo un tassello delle iniziative realizzate dal comitato che ha dato vita – nel corso dei mesi passati – ad un’enorme mensa precaria in piazza del Gesù Nuovo, ad un altrettanto imponente gioco dell’oca ribattezzato precariopoli e rivisitato sulla base dei dettami del nuovo mercato del lavoro, ad un’emblematica lezione al “Governo dei professori” e a tante altre azioni ancora.

“Vogliamo dare voce ai tanti lavoratori invisibili, senza alcun diritto, svenduti e mercificati al prezzo più basso possibile, troppo spesso nell’indifferenza generale” hanno raccontato i ragazzi del comitato partenopeo de “Il nostro tempo è adesso”.

Insieme al comitato nazionale hanno elaborato un decalogo in cui rivendicano quelli che in un qualsiasi paese civile sono considerati diritti ma che nel nostro vengono calcolati come privilegi. Si parla di continuità di reddito, diritti sindacali, tutele, lavoro sicuro. Ma anche di ferie e di pensione, di una casa, del diritto alla maternità e alla paternità, di quello ad ammalarsi senza aver paura di essere licenziati. Gente strana, giovani strampalati che invece di dannarsi alla ricerca dell’ennesimo stage, tirocinio o contratto a termine o di angosciarsi sul sofà di papà e mammà (sono questi nell’immaginario collettivo i giovani di oggi), si organizza, mette in campo azioni e parla di diritti, tutele, tassi di disoccupazione.

“La precarietà – denunciano - è il frutto di scelte politiche precise di un'intera classe dirigente che con incredibile ipocrisia pensa di utilizzare i giovani per giustificare l'esigenza di maggiore precarietà. La precarietà è causa della crisi, non la soluzione”.

È da questa consapevolezza che nasce il loro ultimo slogan “Noi non ce la beviamo” perché dopo l’ebbrezza provata da tanti con il crollo del Governo Berlusconi, ora i più si ritrovano ad avere a che fare con un governo dall’aura perbenista che sotto la maschera del tecnicismo nasconde una chiara strategia politica, per nulla sbilanciata a favore del lavoro, figurarsi dei giovani.

Eppure i dati nazionali raccontano di un fenomeno grave che investe soprattutto il Mezzogiorno e la Campania. Il tasso di disoccupazione giovanile della terra “felix” supera il 40%, nella fascia 15-34 anni gli occupati standard, cioè coloro che hanno un contratto a tempo indeterminato, sono solo il 10% e tra le donne i dati sono ancora più drammatici. La Campania resta la prima regione del Mezzogiorno per migrazioni (circa il 30% dell’intero Mezzogiorno). Dalla sola città di Napoli 108.000 partenze dal 2000 al 2009 (su un totale di 500.000 dal Sud).

“Parliamo di un’intera generazione sempre più sfruttata, soprattutto al sud, e costretta ad emigrare per trovare fortuna altrove mentre il governo continua a raccontarci favole” puntualizza il comitato che ribadisce la necessità che l’esecutivo si confronti con i precari e inizi ad ascoltare le loro rivendicazioni (consultabili a questo link), piuttosto che riferirsi a loro soltanto in maniera strumentale e spesso offensiva.

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