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Nani politici per un’Europa smemorata

Il comportamento dei vari capi di governo europei, di fronte alla crisi del debito, dimostra tutti i limiti di "una politica dell’immediato, capace solo di proporre ricette semplici, contenute in un aforisma, a cittadinanze che verso la politica hanno ormai il massimo disinteresse; che si sentono, in quasi tutto l’Occidente, irrilevanti".

Negli ultimi due anni ho dedicato i miei sforzi di grafomane nottambulo a due periodi cruciali, e fin lì a me poco conosciuti, della nostra storia di italiani ed europei; quelli immediatamente precedenti e successivi la guerra dei trent'anni che ha segnato la storia della prima metà del secolo scorso.

Le similitudini tra la situazione in cui si trovava l'Europa nel 1914 e quella in cui si trova oggi, che pure non mi sono risultate del tutto nuove, mi hanno profondamente turbato. Le classi alte dei vari paesi europei, per non parlare della nobiltà, erano allora almeno tanto integrate quanto quelle odierne; avevano una lingua comune (era il francese), frequentavano le stesse località di villeggiatura (la Costa Azzurra, le città d'arte italiane, le montagne svizzere), intessevano affari da un capo all'altro del continente grazie alla rivoluzione delle comunicazioni rappresentata dal telegrafo.

Addirittura, ho scoperto con sorpresa che la percentuale dei beni scambiata dal commercio internazionale, rispetto a quelli prodotti, era tanto alta quanto quella che si è raggiunta a metà anni '80, quando quella che noi chiamiamo globalizzazione era già ben avviata.

Era in pace da un secolo, quell’Europa. Dopo le stragi delle grandi battaglie napoleoniche, le nostre guerre risorgimentali o quella per la liberazione della Grecia erano state vissute come eventi marginali, riguardanti entità che non erano neppure considerate pienamente europee, dalle opinioni pubbliche degli stati più progrediti; un po’come noi abbiamo fatto, per nostra eterna vergogna, con quel che è accaduto nella vecchia Jugoslavia.

La guerra Franco-Prussiana era stato l’unico serio conflitto di quel lungo periodo, ma, se aveva prodotto il trauma della sconfitta francese a Sedan, la Comune, e fornito a Maupassant il materiale per alcune delle sue migliori novelle, era pure vecchia di quasi mezzo secolo e, peggio ancora, con la sua durata relativamente breve e le perdite umane relativamente modeste che aveva comportato, aveva fornito un termine di paragone assolutamente sbagliato su cui valutare i costi di una guerra nell’età del cannone.

Un tragico errore di valutazione che si rivelò determinante quando, senza crederci troppo, pensando ad un conflitto limitato, a una prova di forza che fosse poco più che una competizione sportiva, gli stati europei si lasciarono trascinare nella fornace della Prima Guerra Mondiale. I padri dell’Europa, la generazione dei politici emersi dalle rovine della Seconda Guerra Mondiale, erano abbastanza vecchi da ricordare quel che era stato il continente prima di cadere vittima della follia del nazionalismo (De Gasperi, addirittura, aveva iniziato la propria carriera nel multi-nazionale parlamento Asburgico) e una perfetta conoscenza, per averle viste con i propri occhi, delle conseguenze di una guerra moderna.

E’ stato per evitare di combattere con la fionda una Quarta Guerra europea, parafrasando le celebri parole di Einstein, oltre che pensando alla fondamentale omogeneità culturale e spirituale del continente (se pensate che i vari paesi europei siano troppo diversi tra loro per stare assieme, fate un giro in India), che iniziarono il processo d’integrazione che, se ha avuto un difetto, si è fermato, per ora, troppo presto. Guardavano alla Storia, Schuman, Adenauer e Alcide De Gasperi; erano uomini statisti nel più preciso senso della parola.

Se Berlusconi aveva la statura internazionale di un giullare, anche Sarkozy e Merkel scompaiono di fronte ai loro predecessori; sono l’amaro frutto di quella politica senza ideali, fatta di scelte di minimo cabotaggio, perennemente condizionata dai sondaggi elettorali, che è diventata comune a tutte le democrazie nell’era della distrazione di massa. Una politica dell’immediato, capace solo di proporre ricette semplici, contenute in un aforisma, a cittadinanze che verso la politica hanno ormai il massimo disinteresse; che si sentono, in quasi tutto l’occidente, irrilevanti.

Un populismo mediatico (e il nazionalismo è alla base di ogni populismo) di cui Berlusconi ha rappresentato la versione italiana, ma che non è solo italiano. Proprio i passi che il nostro paese, da sempre il laboratorio politico d’Europa, sta muovendo per lasciarsi alle spalle il berlusconismo, mi rendono ottimista; forse, non solo in Italia, è finita l’era dei venditori di fumo.

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.187) 10 dicembre 2011 18:13

    Articolo interessante e condivisibile, salvo nell’ottimismo finale e nell’attribuzione all’Italia del ruolo di laboratorio politico d’Europa. Tesi quest’ultima smontata da diversi autori, abbiamo trasformato la nostra arretratezza sociale e politica in laboratorio d’avanguardia per sentirci qualcuno, ma senza alcun fondamento concreto.
     Ma a te che ami la storia vorrei proporti un diverso schema interpretativo della situazione europea attuale.
     Le città della grecia classica hanno dato all’umanità il più grande contributo l’origine del pensiero razionale. La mancata vittoria di Atene su Sparta comportò la mancata unione della Grecia, che fu conquistata dai macedoni.
     I regni ellenistici hanno dato all’umanità intera la prima rivoluzione scientifica. La mancata unione in un unico impero segnò la loro fine ad opera dei romani.
     Nel XV secolo la penisola italiana era (insieme alla Cina) la parte più ricca e avanzata del pianeta, gli staterelli italici diedero il loro contributo all’umanità: il Rinascimento, base necessaria (ma non sufficiente) delle successiva rivoluzione scientifica e industriale. La mancata unione degli staterelli italici segnò la fine della loro supremazia culturale, A partire da Carlo VIII sessanta anni ininterrotti di guerra devastarono la penisola, che fini nelle mani degli spagnoli.
     Tra il XVII e il XIX secolo nell’Europa nord occidentale (prima l’Inghilterra poi Belgio, Svezia e Francia) diedero vita alla rivoluzione industriale, che segnerà una svolta sull’intero pianeta e comporterà un nuovo modo di vita dell’umanità.
     La mancata unità politica dell’Europa segnerà l’emarginazione degli staterelli europei (di 60 - 80 milioni di abitanti massimo) a fronte di nuovi soggetti politici planetari dell’ordine di centinaia di milioni di abitanti o addirittura di miliardi ????
     Oppure una unità politica di mezzo miliardo di abitanti, ancora ricchissima, riuscirà a essere ancora protagonista e a tenere testa a soggetti politici di oltre un miliardo di abitanti???

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