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Miseria e nobiltà: i vaneggiamenti di Silvio e le primarie per il Parlamento del PD

Si comincia con la miseria. Quella di Berlusconi, capace di dire di tutto e di più, alla presentazione del nuovo libro di Vespa (A volte ho il dubbio che Gutenberg avrebbe fatto meglio ad occuparsi di giardinaggio). Quella dei suoi giannizzeri, soprattutto: gente dispostissima a consegnare il cervello all’ammasso, ma che ormai non sa dove trovare il deposito; che deve attaccare Monti come e più dei grillini più scatenati, perché così fa il Capo, e un attimo dopo deve precipitarsi ad elogiare lo stesso Monti perché, accidenti quant’è difficile la vita degli zerbini, così fa sempre il Capo, che a questo punto non si limita a contraddirsi, ma intavola degli schizofrenici dibattiti con sé stesso.

Quale sarà il candidato premier della coalizione dei moderati (sì; quelli cui il dottor Esposito, che, come dice l’Umby, è una gran brava persona anche se di padre napoletano, già medico condotto di Arcore, ha ordinato di moderare il consumo di alcolici) secondo Berlusconi? Monti, sorpresa sorpresa, se ne avesse voglia, o il fido Angiolino “in pole position per Palazzo Chigi”, se proprio non si trova nessun altro. Cita anche se stesso, Silvio B., ma per dire che non vorrebbe proprio; che lo vorrebbero costringere. È già stato a Palazzo Chigi per oltre dieci anni “più di De Gasperi” (vi sta venendo una mezza idea sul perché l’Italia non sia in splendide condizioni? Beh, anche a me) e, dopo cotanta carriera, si accontenterebbe di fare il liiider di tutto quel che c’è a destra del PD (anche allo zio Carlo buonanima, dopo il primi colpetto, sarebbe bastato fare l’imperatore dell’universo. Eh, son cose brutte). Cosa dici? Che si tira indietro perché i sondaggi…? Mah… forse. Secondo me, hanno contato molto anche le ovazioni che hanno accolto, in tutto il mondo, la notizia del suo ritorno; dopo simili manifestazioni di stima (proprio vero; politici nostri considerati come lui, all’estero, non ce ne sono mai stati. Per fare paragoni bisogna tirare in ballo Pulcinella, Charles Ponzi, quello dello schema, e Al Capone) la prospettiva di ripresentarsi ad un vertice internazionale non gli dev’essere sembrata per niente attraente.

Detto del poveretto (ma è vero che l’Umby, con gli amici, in pizzeria a Jerago con Orago, lo chiama Goodyear? Ah, ma di riferisce alle plastiche facciali, mica alla linea politica. OK, scusa. Pensavo…), peraltro già ucciso a suo tempo dal sorrisetto di un francese, e dell’aristocratico sprezzo con cui ha respinto le sue profferte Mario nostro, che va ripetendo di escludere “ogni recupero di un rapporto con Berlusconi”, è la notizia che il PD terrà delle primarie di collegio, per stabilire i nomi dei candidati al Parlamento, quella di gran lunga più importante degli ultimi tempi. Anzi, degli ultimi anni. Esagero? Per niente. Resta da vedere nei dettagli come saranno organizzate e come saranno selezionati i loro candidati, ma sono un passo fondamentale per il recupero del rapporto tra cittadini e politica. Le chiedo da almeno quattro anni (beccandomi peraltro del sognatore, come minimo, anche da tanti amici di sinistra); da quando mi sono trovato a seguire, passo dopo passo, le prime che si conclusero con la candidatura di Obama alla presidenza del Stati Uniti. Sono l’unico modo per aggiustare il pasticciaccio della seconda Repubblica che, rendendo le segreterie dei partiti padrone della loro vita e morte politica, ha di fatto esautorato i parlamentari, condannati ad essere dei meri esecutori di ordini altrui; degli schiaccia-bottoni superpagati, insomma, e nulla più. Non saranno una panacea ai mali della nostra democrazia, ma poco ci manca. Comporteranno forse qualche rischio in più d’infiltrazione mafiosa (oddio, poi uno pensa al Parlamento ora in carica…), ma mettono in discussione la sopravvivenza politica di capi e capetti, rendono più difficile l’arrivo in Parlamento ai soliti amici di e figli di, impongono ai parlamentari uscenti di rendere conto della propria attività agli elettori e consentono di entrare in politica anche a chi abbia lavorato e non si sia limitato a passare la propria vita adulta, a fare chissà che e pagato da chissà chi, dentro i partiti a leccare gli stivali dei vari capoccia.

Una decisione storica, quella del PD (subito seguita da quella di SEL), che segna, con quindici anni di ritardo, il superamento della partitocrazia che affondò la prima Repubblica e che può dispiacere solo agli adoratori del porcellum: ai nominati arrivati in Parlamento solo in virtù del proprio servilismo; della loro disponibilità a fare, sempre e comunque, la volontà del proprio padrone.

Una scelta coraggiosa e nobile, quella di Bersani e della dirigenza del suo partito, che ritengo tanto importate da arrivare a ringraziare, oltre a loro, lo stesso Beppe Grillo (l’orrido Grillo che di questi tempi scomunica inibendo l’uso del “logo” del M5S, neanche il suo movimento fosse un franchising) per l’eventuale ruolo di stimolo che le sue parlamentarie, pur con tutti i loro limiti, possono aver avuto.

Non sono di sinistra e non sopporto Grillo? Verissimo, ma resto, sempre e prima di tutto, fedele agli ideali della democrazia. Di quella democrazia parlamentare, in particolare, di cui tanti proclamano la crisi, senza peraltro suggerire nulla di meglio e di più praticabile, che in Italia non si è mai compiutamente realizzata. Per costruirla resta tanto da fare, ad iniziare da un’educazione alla responsabilità dei cittadini, ma quella posta dal PD è una fondamentale prima pietra. 

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