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 Home page > Tribuna Libera > Milano: il ritorno alla realtà e la promessa di un nuovo Risorgimento

Milano: il ritorno alla realtà e la promessa di un nuovo Risorgimento

Tutta, o quasi, la nostra storia post-unitaria passa da Milano. E’ una constatazione che faccio senza orgoglio, pur essendo nato sotto “quel cielo di Lombardia, così bello quando è bello”, ma che mi fa sperare che, ancora una volta, quel che accade nella capitale della mia regione sia il prologo di qualcosa di più vasto; di un rinnovamento dell’attitudine verso il reale, prima ancora che verso la politica, di tutti gli italiani.

Ha sognato troppo, Milano, nell’ultimo secolo, e noi lombardi, purtroppo per il resto d’Italia, siamo ottimi mercanti, capaci di spacciare i nostri prodotti in tutto il mondo, ma pessimi sognatori; questo, dopo che il sonno della nostra ragione ha generato fascismo, craxismo, berlusconismo e leghismo, dobbiamo proprio ammetterlo.

La nostra vera dote, il contributo che possiamo dare alla vita della nazione, oltre ad un attivismo spesso male indirizzato, è il pragmatismo che nasce dalla nostra capacità di osservare il vero.

E’ questo il segno della nostra arte migliore, dagli affreschi alto-medioevali di Castelseprio ai piedi sporchi dei popolani di Caravaggio; è scontrandosi contro questo nocciolo di realismo che si stanno frantumando i gusci di retorica del berlusconismo e del leghismo.

E’ questo, il ritorno all’osservazione della realtà, il motivo di un voto tanto sorprendente quanto quello dato dai quartieri del centro città dove tanta della Milano bene, della media e alta borghesia, (di piccolo borghesi con attico con vista Duomo ce ne sono proprio pochi)ha preferito alla signora Moratti, che di quei ceti parrebbe un naturale rappresentante, un candidato con una storia politica da “antagonista”.

I milanesi, dopo un ventennio almeno, hanno distolto gli sguardi dalle televisioni, dalle ombre scelte ad arte dal grande burattinaio per manipolare lo loro coscienze, per osservare, anziché la realtà rappresentata, la realtà, dura e cruda, della città vera; hanno guardato Milano, finalmente, e hanno scoperto che Milano non c’era più.

Hanno scoperto, svegliandosi dal sogno, che era diventata sempre più brutta e povera; il fantasma di quella che 30 anni era considerata, con tanto di foto sulle copertine delle riviste statunitensi, una delle capitali del mondo: una città feroce, con servizi pubblici di qualità post-sovietica e senza nessuna rete di solidarietà, se non quella offerta dalle famiglie, ad offrire protezione ai giovani come agli anziani e a chiunque, per un motivo o per l’altro, abbia difficoltà nella lotta, sempre più aspra, per la vita.

Una Milano che europea, e basta andare a fare un giro in una qualunque città delle stesse dimensioni sparse per il continente, era ormai solo per collocazione geografica; più grigia di Birmingham, più triste di Zurigo, più noiosa di Stoccarda…

Una città paralizzata dai divieti, depressa, senza musica e senza risa, con un vita notturna degna delle più noiose città di provincia, ridotta a qualche costosissimo locale del centro e a un paio di divertimentifici per calciatori e veline.

Hanno guardato oltre i portoncini blindati dei loro appartamenti/fortezza, i milanesi, e si sono guardati dentro; hanno visto le proprie paure e capito quanto fossero infondate, false, prodotto di un ventennio di orribile propaganda e di pseudo-informazione urlata.

Hanno capito che il pericolo per la qualità delle proprie vite non veniva dagli immigrati o dai centri sociali, in una città che non ha mai conosciuto un tasso di criminalità tanto basso dentro ad un paese che non ha mai conosciuto un tasso di criminalità tanto basso, dagli islamici o dai comunisti, ma da una politica incapace di progettare un futuro, ridotta a mera conservazione dell’esistente o, peggio, alla gestione del degrado, e capace solo d’inventare occasioni per le speculazioni dei soliti noti oltre che di imporre, in cambio di un’illusione di sicurezza, continue limitazioni alla libertà dei cittadini.

Hanno fatto, i milanesi, quel che faranno anche gli altri italiani, perché quel che è successo alla loro città è esattamente quel che è successo al resto del paese.

Confrontati con un mondo che cambiava troppo rapidamente, dopo la fine della guerra fredda, noi italiani ci siamo consolati rivolgendo la nostra attenzione a minacce remote o inesistenti, gli islamici come l’influenza aviaria, la collettivizzazione comunista come la caduta dell’asteroide della fine del mondo, anziché preoccuparci di usare la nostra indubbia intelligenza per ristrutturare la nostra economia e renderla più competitiva.

Schiacciati da un debito pubblico enorme, prodotto dalle dissennate politica di spesa del pentapartito, non abbiamo chiesto alla politica di prendere quei provvedimenti necessari per ridurlo, stimolando la crescita e riducendo gli sprechi, ma abbiamo preferito cullarci nell’illusione che, in un modo o nell’altro, qualcuno avrebbe trovato una soluzione, prima o poi. Una soluzione che è ancora possibile, anche se è diventata più difficile, se, guardando alla realtà, comprenderemo finalmente che nessuno pagherà quel conto al posto nostro; che, levata di torno ogni retorica e ogni illusione, ci sarà, specie per chi fino ad ora non ha sofferto, da soffrire.

Dagli elettori milanesi è partito il primo segnale di questo necessario ritorno alla realtà.

Alla futura giunta milanese, se Pisapia vincerà, e agli altri amministratori appena eletti nelle città italiane all’insegna del rinnovamento, spetta il compito di far rientrare nella politica l’altra grande vittima del berlusconismo e del leghismo; la moralità che di qualunque politica dovrebbe essere fondamento.

La moralità, avversione al sopruso al privilegio e all’ingiustizia, che Ferruccio Parri considerava la radice, inestirpabile, pre-politica, del proprio antifascismo.

Fosse così, finalmente, al suo terzo tentativo, il nostro paese completerebbe, finalmente unito, il proprio Risorgimento.

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