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Mercato del lavoro, più Fornero che Jobs Act, precarietà resta

Pubblicato da Istat il rapporto sul mercato italiano del lavoro nel terzo trimestre. La sintesi estrema è che si conferma una blanda ripresa congiunturale, che è ovvio riflesso di una crescita altrettanto blanda. Sembra banale, e pure un filo nauseante, dover ripetere continuamente questi concetti, ma tant’è, in un paese ormai instupidito da opposte bande di propagandisti.

Sul mercato del lavoro del terzo trimestre seguiamo quindi la traccia di Istat. Che ad esempio ci spiega:

«Il recupero dell’occupazione al netto della stagionalità sembra subire una battuta d’arresto nei mesi più recenti; la lieve crescita registrata nel periodo agosto-ottobre (+0,1%, +32 mila unità), è infatti sintesi dell’elevato incremento registrato nel mese di agosto e dei cali successivi – di analoga intensità – manifestatisi a settembre e ottobre (-0,2%)»

Quindi diciamo che nel terzo trimestre le cose non sono andate benissimo, per l’occupazione. Ma ci sono altre variazioni congiunturali, cioè trimestrali, che sono interessanti ed eloquenti. Ad esempio, la disoccupazione cala dello 0,6% ma gli inattivi aumentano dello 0,7%, e con essi il tasso di inattività cresce dello 0,3%. E ancora: nel trimestre cresce il monte ore lavorate complessivo dello 0,6% ma quello pro capite cala dello 0,1%.

Se ci spostiamo sull’orizzonte annuale, scopriamo che i nuovi occupati (dipendenti ed autonomi) sono ben 247mila ma di essi solo 97mila sono a tempo pieno: ben 149mila sono a tempo parziale, di cui 126mila sono part time involontari, cioè persone che vorrebbero lavorare a tempo pieno ma non riescono a farlo. Non solo: sempre in un anno, abbiamo 241mila lavoratori dipendenti in più ma di essi ben 182mila sono a termine. In un anno, i dipendenti permanenti a tempo pieno, quello che dovrebbe essere il benchmark a cui tendere per riformare il mercato del lavoro sono addirittura diminuiti di 20mila unità. Ed infatti l’incidenza di tali soggetti sul totale delle forze di lavoro diminuisce in un anno dal 53,5% al 52,9%. Questo è un dato su cui sarebbe opportuno riflettere.

Riguardo agli inattivi, su base annua la loro variazione cresce per tutte le coorti anagrafiche eccetto che per quella 50-64. Tra gli inattivi, lieve riduzione dell’incidenza degli scoraggiati, mentre aumenta quella di quanti attendono gli esiti di passate azioni di ricerca di occupazione, a conferma indiretta della una lieve “riattivazione” del mercato del lavoro verificatasi nell’ultimo anno. Si conferma che la componente che agisce maggiormente in riduzione dello stock di inattivi è quella di chi è in pensione e non è interessato a cercare occupazione per motivi di età. Sulla riduzione di questo corposo gruppo di inattivi pesa soprattutto l’effetto della legge Fornero, che ha determinato il trattenimento al lavoro di un numero crescente di lavoratori anziani. E di ciò si trova puntuale riscontro nella variazione degli occupati per classi anagrafiche, con gli over 50 che fanno boom in un anno, a +275mila unità. Parola a Istat:

«[…] la crescita tendenziale del lavoro a tempo indeterminato (+59 mila) è dovuta soltanto agli uomini e agli ultra 50enni»

Quindi? Quindi, ribadiamolo: una ripresa del mercato del lavoro del tutto congiunturale e debole, con la legge Fornero che impatta sulla composizione delle forze di lavoro ben più di quanto non faccia il Jobs Act, visto l’andamento deludente degli occupati dipendenti permanenti a tempo pieno (ribadiamolo, il “nucleo nobile” delle forze di lavoro). In parallelo, serve tenere lo sguardo sull’esplosione del fenomeno dei vouchers: la lotta alla precarietà condotta tramite le stabilizzazioni del Jobs Act trova potente controcanto nell’irresistibile ascesa dell’area assai grigia rappresentata dai buoni di lavoro. Forse tra non molto tempo servirà un nuovo tagliando di manutenzione al mercato italiano del lavoro.

Voi comunque date un occhio a questi dati: non serve essere “specialisti” per intuire alcune cose.

 

Questo articolo è stato pubblicato qui

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