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Mediterraneo, teatro di storia

Un grande storico francese, membro della scuola degli Annales, Fernand Braudel, dedicò lunghi studi al Mediterraneo, facendone l'archetipo della "lunga durata" (una temporalità storica prolungata, funzionale alla comprensione dei fenomeni strutturali). In una delle sue opere, scritta in collaborazione con altri storici francesi, (Il Mediterraneo - lo spazio e la storia, gli uomini e la tradizione) propone, come definizione utile a sintetizzarne la mappa storica, il termine "crocevia". Per tale ragione parla di un "Mediterraneo eteroclito".

La messa a punto delle chiavi interpretative, utili a comporre l'enorme mole delle vicende storiche in cui il Mediterraneo è protagonista, si risolve nell'indicazione di tre civiltà matrici: quella cristiana, quella islamica e quella ortodossa.

Nella prima s'incontrano civiltà greca e civiltà romana, la seconda raccoglie il frutto della trasformazione subita dal vasto territorio interessato dalla conquista araba nel nome di Maometto, la terza è concentrata nella "terza Roma", la Russia ortodossa erede di Costantinopoli, irradiatrice nell'Oriente di questo ceppo di civiltà.

Dietro a queste lineee storiografiche riappare la pregnanza che il Mediterraneo ha avuto, coinvolgendo nelle sue vicende (fortuna e sfortuna, sviluppo e decadenza) il territorio italico, la sua popolazione, le entità geopolitiche che vi si sono succedute.

Nella prospettiva odierna, quando il Mediterraneo è protagonista di vicende "di risulta" - lo scrivo in maniera provocatoria - quando se ne parla quasi solo per i viaggi di crociera, che fanno la spola nei suoi porti, il Mediterraneo sembrerebbe solo archeologia, mare e sole, oppure un "quiz storico" legato alle guerre puniche.

Basterebbero alcune date, però, per richiamare lo spessore della sua grandezza storica: battaglia di Maratona 490 a.C., battaglia di Lepanto 571 d. C., canale di Suez 1869 d.C. E per sottolinearne sotto traccia la rivalità Occidente-Oriente.

Né va fermata l'attenzione solo su queste tre date-simbolo, anzi la richiesta è di spalancare gli occhi e considerare le implicanze della funzione che il Mediterraneo ha conservato anche dopo la perdita della sua centralità, conseguente la scoperta delle Americhe.

Già Venezia aveva saputo governare sagacemente la nuova reatà, determinatasi dopo il 1492, gestendo abilmente i porti siriani ed egiziani e mantenendo le redini del commercio delle spezie proveniente dall'Estremo Oriente.

Le cause della decadenza veneziana, nel secolo XVII°, saranno principalmente endogene, e nulla hanno a che spartire con l'incremento della decadenza mediterranea.

Con le dovute differenze, il nostro Enrico Mattei, molto più avanti, avrebbe preso a modello la diplomazia veneziana per intavolare un rapporto con i paesi emergenti, produttori del petrolio, il nuovo oro nero.

Tale modello si può ricondurre all'abilità nel riconoscere pari dignità alle potenze non europee, evitando di puntare contro di loro disegni di vago sapore colonialistico, investendole con campagne di denigrazione culturale.

Per inciso, ricordo come le ultime mostre su Venezia e l'Islam, abbiano sottolineato la duttilità dell'approccio veneziano all'universo islamico.

Oggi, quando l'epoca globale squaderna sotto i nostri occhi lo scenario dell'interconnessione planetaria, non vanno perse di vista le coordinate delle chiavi strategiche della competizione mondiale, tra cui certamente ritroviamo l'area mediterranea, nodo di molteplici questioni - israelopalestinese, africana, islamica, energetica e via dicendo -.

Vi è consapevolezza nella politica italiana di tutto ciò?

I disegni di Mattei sono morti con lui (forse non sono stati neppure estranei alle cause della sua morte). La DC di Andreotti e Moro, strumentalmente, portò avanti per qualche tempo una politica estera di attenzione ai paesi dell'area mediterranea. Oggi c'è il vuoto assoluto.

Né si può dire che L'Europa sia subentrata all'Italia, come autorità investita di questa funzione, connotata da tale vocazione.

Barbara Spinelli ha richiamato, settimane fa, l'impostazione guida di un fondatore dell'Europa come J. Monnet, evidenziandone, però, il successivo abbandono, e richiamando, subito dopo, i suggerimenti documentati ed argomentati di due studiosi italiani, acuti osservatori della problematica, ma a rischio di essere "voci nel deserto".

Va per la maggiore, invece, l'eccitazione antislamistica, visti gli umori scatenati dalle ribellioni nel mondo arabo. Hanno successo popolare le idee dei movimenti populisti, interessati a contrapporre l'islamismo al cristianesimo; fa, purtroppo, premio, a detrimento dello spirito di tolleranza, il tornaconto economico della tutela dell'euro, architettata da un'ingegneria a stampo tecnico-finanziario.

Il caso Grecia può essere emblematico. Non bastasse, quali "superiori" ragioni attendono i plenipotenziari europei per prendere posizione sulla crisi israelopalestinese, sulle vicende dei paesi nordafricani, incartati nel pieno di una transizione difficile alla democrazia, sul problema dell'immigrazione (in maniera uniforme, fuori dell'ottica nazionale), sul problema del futuro energetico?

In mezzo a questi interrogativi voglio inserire quelli indirizzati ad una regione, da molti considerata periferica, in realtà centrale e paradigmatica in tale scenario: la Sicilia.

La regione siciliana si fregia di un'autonomia ampia e consolidata e, dentro questa cornice, ha concorso a fornire "tappeti d'oro" alle installazioni americane, predisposte per il controllo ferreo del Mediterraneo.

Tale controllo, succeduto a quello inglese, lascito degli equilibri sanciti dalla conclusione del secondo conflitto mondiale, fortemente ideologizzato nei decenni della guerra fredda e quindi della competizione-sfida con il comunismo, si è protratto oltre la caduta del muro di Berlino, e, potremmo dire, va ben oltre gli schemi della Nato. Non si va lontani dalla verità, se si sostenesse che tale controllo è stato un supporto chiave per il controllo del "rubinetto petrolifero" (ritornano in scena Mattei e gli oscuri retroscena della sua morte).

Bisogna aver chiara l'importanza che la "questione petrolio" ha nella politica statunitense, sovraccaricata in questo momento dalle implicazioni legate alle appena concluse elezioni americane.

Da Sigonella, a Comiso, a Niscemi, in Sicilia sono numerosi, e d'importanza strategica, le postazioni americane. Ultima, fiore all'occhiello, il potente radar di Niscemi, che guiderà i droni che daranno la caccia agli attentatori di Bengasi. Naturalmente il tutto con il crisma della extraterritorialità.

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