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Il "principio di realtà" in chiave politica: un’interpretazione

In Italia oggi alcuni evocano il termine impegnativo "pacificazione", altri fanno le lodi del "principio di realtà". In realtà, entrambi hanno l'intento di razionalizzare (giustificare, addirittura?) l'evento risolutivo della più recente crisi politico-istituzionale con la formazione del governo Letta, forte della collaborazione tra PD, PDL e Scelta Civica.

Per comprendere, bisogna prima evidenziare che la natura politico-istituzionale della crisi si è strettamente intrecciata con quella economico-sociale e, con questa dimensione, ha assunto un'alta capacità esplosiva, come testimoniano vicende recenti della cronaca nazionale.

Le molteplici cause concorrenti hanno i volti della crisi dei partiti, dell'asfissia delle istituzioni, della durezza della crisi assieme alla sua lunghezza, dei passi falsi delle decisioni europee, potremmo dire in sintesi, dell'arcaismo dei soggetti coinvolti. Prendendo spunto dalla fisiologia, nello specifico la malattia cronica del corpo senile: la sclerotizzazione dei vasi comunicanti, rappresenta alla perfezione la disfunzione dei corpi socioistituzionali, coinvolti.

Dall'angolo visuale dell'Italia del 2013, epigono di un declino trascinatosi per tutta la seconda Repubblica, possiamo dire che questa è una "crisi di sistema". Troppo impegnativo, però, impegnarsi in quest'ambito a prospettare una soluzione complessiva ai mali di una disfunzione di tale portata.

Zoomando sui partiti italiani, principali protagonisti della crisi e maggiori antagonisti (PD, PDL M5S), vengono in rilevo le ambiguità del PD e le divergenti tipologie di populismo incarnate dal PDL e dal M5S. Tra questi tre attori, possiamo segnalare nel M5S gli aspetti più innovativi in alcuni suoi passaggi programmatici e soprattutto nell'uso (ed abuso) della tattica telematica. Risultano, altresì, chiaramente delineati, da una parte le incertezze della segreteria PD, frutto di una sotteranea divisione interna al partito, dall'altra la strumentale demagogia del PDL, copertina di un partito personale unito in simbiosi con le vicende giudiziarie del suo leader.

La tragicità della crisi sociale, come testimoniano i dati sulla disoccupazione, sulla chiusura delle imprese, sulla crescita della povertà, l'effetto deleterio dell'infelice legge elettorale vigente, l'ostruzionismo del M5S, hanno motivato l'accordo, fautore Napolitano, raggiunto dai due partiti ostinatamente nemici, ma anche intrinsecamente opposti, fino alla nascita del governo Letta.

Da questo governo possono venire scelte di tamponamento della crisi e di ricognizione generale dei segmenti della disfunzione generale, non certo scelte strategiche e risolutive provvidenziali. Fatta ferma questa dimensione, per la riuscita del "minimo comune denominatore" sopra delineato, va fatta chiarezza sui ruoli, rovesciando una buona volta la pretestuosa propaganda del centrodestra, che si dipinge come partito responsabile, sensibile al dramma del paese.

Sottolinea correttamente Ezio Mauro che su questa pubblicistica potrebbe innestarsi un uso strumentale del "principio della realtà", volto a purgare da ogni "svirgolatura" il leader maximo del PDL, cioè a depenalizzare il suo curriculum imprenditoriale e politico.

Contro questa possibilità dobbiamo tutti vigilare, consapevoli che soltanto attraverso la difesa delle garanzie democratiche - tra queste l'imparzialità della giustizia - sarà possibile la definitiva e complessiva rifondazione dell'Italia repubblicana.

L'autentico "principio di realtà" dice che l'accordo politico è frutto della cogenza della crisi complessiva (sopra accennata). Si può uscire dal suo stallo attraverso tale forzatura - diciamo, per alcuni versi, attraverso questo paradosso. Una "stretta via", cautamente vigilita, che sta a fondamento del governo Letta.

Nello stesso tempo va rigettata la tanto invocata pacificazione, non certo per soffiare sul fuoco della tensione sociale - decisamente pericoloso! - ma per preservare il "lievito" del confronto politico e del fare amministrativo. Esso è costituito da due ingredienti irrinunciabili: la dialettica e il pluralismo.

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