• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Attualità > Politica > Marcia del 13 febbraio 2011 – uno slogan da destrutturare e capire

Marcia del 13 febbraio 2011 – uno slogan da destrutturare e capire

Se non ora, quando? Ma come continua questo slogan? Capirlo è il solo modo per rispondere alla domanda.

Presumibilmente “Se non ora – che siamo arrivati ad un punto così basso dell’immagine della donna in Italia – quando – dovremmo scendere in piazza?”

Dopo aver compreso l’urlo di questa manifestazione, splendida nella sua riuscita e per il tipo di contenuti che ha saputo trasmettere, vorrei destrutturarlo con l’aiuto di una delle donne giovani che erano in marcia nelle piazze e sui palchi a parlare di politica.

 

Alla manifestazione di Pisa, tra le varie associazioni femministe presenti, c’era il gruppo Tijuanaproject  il gruppo politico impegnato sia nell'università che nel sociale, a cui fa riferimento il Laboratorio SuiGeneris. A prendere la parola per loro, la giovane Rosamaria Pepe, che abbiamo intervistato.

Il suo intervento inizia con la ratifica di una partecipazione “critica” alla manifestazione, anche nei confronti delle linee guida nazionali che proponevano un accento eccessivo sull’opposizione tra le donne che si impegnano contro quelle del guadagno facile. Le donne della lotta politica, contro quelle che dalla politica prendono soldi e onori dando al potere ciò che il potere vuole. La contrapposizione, se ci deve essere, è forse tra chi vuole una fetta di torta e chi ne vuol cambiare il sapore.

Non ci interessa la divisione tra donna per bene e donna non per bene – diceva Rosamaria dal palco pisano - perché è la dicotomia che per troppi anni ci ha tenute prigioniere dei modelli dominanti. Noi siamo qui per opporci ad un sistema politico che sfrutta la prostituzione come mezzo di scambio politico. La nostra lotta è quella di sempre, quella per cambiare la condizione della donna nella società”. Ed è di questo le donne del laboratorio SuiGeneris parlano sempre, non solo quando si tratta di mandar via un premier.

Ma solo adesso pare ci si accorga che questa onda anomala di donne si muove, marcia, lavora e poi lotta. Se ne accorge anche Repubblica, che da mesi ha chiesto alle donne di prestarsi ad una delle sue periodiche campagne fatte di foto amatoriali, sempre per mandare via il Premier. Ottima iniziativa, sperando che della condizione femminile prima o poi uno di principali quotidiani d’Italia inizi ad accorgersi anche dopo (o indipendentemente da) la lunga e deprimente parentesi berlusconiana.

Persino l’Avvenire celebra una beatificazione provvisoria delle “streghe” in piazza; le stesse streghe che vorrà di nuovo mandare al rogo quando torneranno a parlare di pillola abortiva e diritto alla salute e all’autodeterminazione della propria persona come donna prima che come madre.

Come ci spiega Rosamaria, le donne di cui tutti sembrano essersi accorti oggi, lavorano 365 giorni all’anno. Come lo fanno?

“Lo facciamo – ci spiega Rosamaria - attraverso i percorsi sulla femminilizzazione del lavoro e sugli svantaggi che le donne devono ancora vivere sul piano personale e professionale, in un paese dove sono pochissimi gli uomini che prendono aspettative o congedi parentali per accudire i figli e tutto resta a panneggio della donna, che rinunciando alla carriera è sempre in una condizione di sudditanza economica nei confronti di compagno e famiglia. È lo stato che ha il dovere di togliere l’individuo dalla condizione di sudditanza e permettergli l’autodeterminazione. E lo può e deve fare solo attraverso una seria politica del welfare e misure sociali volte a creare ambienti (pubblici e privati che siano) in cui gli individui possano sentirsi liberi di fare le proprie scelte".

“Altri progetti sono quelli realizzati nella provincia di Pisa e Empoli: si tratta di un’inchiesta sui consultori (luoghi molte volte troppo pieni di perbenismo e moralità che perdono di vista il loro ruolo primario di accoglienza) e sul loro atteggiamento verso studentesse e immigrate; due tipi diversi di condizione precaria in cui una donna può trovarsi in difficoltà.”

“E poi abbiamo in cantiere un progetto con il gruppo tarantino di Donne contro l’Ilva. Si tratta di donne che lottano per il futuro dei propri figli, della propria città e per rivendicare condizioni di lavoro, per se stesse e per gli uomini che nella vita le accompagnano, più rispettose dei tempi di vita e della vita (in alcuni casi si tratta di donne che piangono per le loro “morti bianche”); quindi sono addentro a tematiche non solo ambientali, ma anche civili e di sicurezza sul lavoro”.

Questo gruppo è uno dei tanti presenti nelle piazze d’Italia la cui lotta e impegno sono costanti, ma spesso ignorati quando non anche censurati. Perché non esiste in Italia un solo partito, un solo ente, un solo gruppo imprenditoriale che non abbia la coscienza sporca in merito di parità di diritti e trattamento.

Tra le donne in piazza anche personaggi più celebri della politica o dello spettacolo. Lucrezia Lante della Rovere ad esempio dice: “non vogliamo pagare le tasse per farci governare da donne incompetenti messe lì solo perché compiacenti al potere”.

Spero l’attrice non ignori che da più di 40 anni paghiamo le nostre tasse per farci governare da uomini collusi con la mafia, potenti perché amici delle persone giuste o, più spesso, servi del giusto padrone. Ci sono donne che si scontrano con questo tipo di prostituzione al maschile dalla nascita della nostra Repubblica. È il caso di fare nomi di un sistema di uomini, per capire il declino della donna. Non lo ha omesso Nichi Vendola, che non nomina ragazze parlando di questa brutta fase socio politica: “Esiste un’Italia migliore di quella di Lele Mora, Emilio Fede, Fabrizio Corona e di Berlusconi”.

Vero, ma c’è un’Italia migliore anche di quella dei nostri principali partiti politici, che mai hanno visto un segretario generale donna in 65 anni di Repubblica e in cui resta ridicolo il numero di donne in parlamento indipendentemente dal come e del perché ci siano arrivate. 

Se alla fine di questa riflessione è possibile parafrasare lo slogan della mobilitazione nazionale e farle una nuova analisi a posteriori, forse sarebbe: 

Se non ora, quando - vi accorgerete che le donne lottano tutti i giorni (non solo il 13 febbraio 2011) per un’Italia diversa?

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox







Palmares