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Manifesto contro l’uguaglianza

Il diritto all’uguaglianza, come il diritto alla libertà, sono una conquista dell’uomo occidentale da due secoli a questa parte. Quando nel ‘600 John Locke scriveva il fondamentale volume “Due trattati sul Governo”, in Europa si stava piano, piano affermando il pensiero, seppur ancora in termini primordiali e nebulosi, che l’individuo non era più una creazione della società, ma che anzi veniva prima di essa, e che la società era una creazione di più individui: il famoso contrattualismo seicentesco, ovvero il passaggio dallo Stato di Natura allo Stato civile. L’idea, dunque, era che l’individuo aveva sì doveri nei confronti della società, ma allo stesso tempo poteva godere di una sfera privata e individuale, libera, nella quale il dispotismo degli altri individui non potevano entrare: la libertà da, o più propriamente chiamata libertà negativa. Ma la libertà negativa, in sé, è quasi un niente, perché priva di ogni contenuto, e si esaurisce nell’affermazione di un’arbitraria indifferenza, e di fronte a qualunque determinazione. E’ il liberalismo monco del ‘700. Intorno all’Ottocento il concetto di libertà assume altri connotati, questa volta positivi: la libertà non è indeterminazione e arbitrio, ma capacità dell’uomo a determinarsi da sé. La libertà negativa consisteva nel negare ogni autorità ed ogni legge; la nuova e positiva libertà consiste nel trasferire l’intimità del proprio spirito la fonte dell’autorità e della legge (libertà di associazione, di religione, di parola, di pensiero, eccetera). Sono i nuovi diritti liberali. Diritti che, presi singolarmente, forgiano la libertà liberale. È solo nel secolo scorso (alla fine della Seconda Guerra) che ai diritti liberali si affiancano i diritti sociali, o di uguaglianza. Diritto alla salute o all’istruzione, per fare alcuni esempi: sono l’insieme delle pretese o esigenze da cui derivano legittime aspettative che i cittadini hanno, non come individui singoli, ma come individui sociali.

Ma che succede quando l’uguaglianza e la libertà finiscono con il diventare dispotismi da esportare? Che succede quando l’uguaglianza, soprattutto questa, sconfina oltre il campo dei diritti sociali e finisce la corsa collimando con la diversità, che è pure anch’essa, se vogliamo, un diritto? Oggi l’universo occidentale sta correndo all’impazzata verso una direzione pericolosa: anziché preservare il tutto mantenendo le parti, tende a trasformare le parti in un tutto. Mi spiego meglio: il movimento della globalizzazione, che nasce nel lontano ‘500 ma si è enormemente sviluppato dopo la Rivoluzione Industriale, sta portando l’uomo alla mondializzazione, la cui tendenza è quella di arrivare ad un unico Stato mondiale, ad un unico governo mondiale e, di conseguenza, ad un unico tipo di individuo: il Grande Consumatore. La diversità, la particolarità, l’individualismo del primo mondo liberale – e non liberista – non esiste più. Se vogliamo, questo meccanismo dell’uomo unico, possiamo dire che nasce proprio dal liberalismo, ovvero dalla sua degenerazione economica, il liberismo. Ma in un mondo siffatto come si potrà dire che al centro di tutto vi è l’individuo? Nelle democrazie liberali, che per questo si distinguono dagli altri regimi, prima della società viene l’individuo. Ma se il futuro della democrazia, o dell’umanità, è quella del dispotismo dell’uguaglianza, della globalizzazione estrema, dove tutti sono un unico individuo, e dove il mercato mondiale è uno solo, che fine farà, e dove sarà disperso, l’individuo singolo? A ben guardare una realtà come questa, dove il Dio unico si chiama denaro, al centro del tutto non ci sarà più l’uomo, ma l’economia, e l’uomo gli girerà attorno. D’altra parte è sotto gli occhi di tutti, la concezione occidentale della globalizzazione è proprio questa: libera circolazione dei capitali e merci ma non degli uomini. Cioè il capitale può andare a cercare la propria collocazione geografica là dove è meglio remunerato, gli uomini, che spesso proprio da quel capitale sono stati resi dei miserabili, no, non avrebbero questo diritto.

L’omologazione, il dispotismo nevrotico dell’uguaglianza, è un processo che parte da quel diavolo invisibile che è l’economia (la Coca Cola, simbolo della globalizzazione, oggi la si trova anche negli angoli remoti del Congo dove, guarda caso, si muore di fame: le lattine d’acqua zuccherata arrivano, mail cibo neanche a parlarne) , ma si manifesta in altri ambiti: è la diversità, oggi, il nemico numero uno. L’Occidente non accetta la diversità, “l’altro” da sé, oppure la accetta ma nella misura in cui si occidentalizza.

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