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Maggioranza silenziosa; maggioranza obbligata

I dati forniti dal 45esimo Atlante Politico, realizzato da Demos & Pi per La Repubblica, rivelano la sostanziale tenuta del consenso riscosso dal presidente del Consiglio.

Durante la discussione sull'articolo 18, chi avesse seguito le cose italiane solo attraverso il buco di serratura della Rete, seguendo i vari blog e leggendo i commenti degli utenti delle reti sociali, avrebbe potuto pensare che il paese si trovasse in una situazione pre-rivoluzionaria. Una falsa impressione, secondo i dati del sondaggio. Il M5S sembra non riuscire a mantenere quota 20%. La Lega è stata portata da Salvini a sfiorare il 9%, ma pure in un altro vicolo cieco; su pozioni tanto estremiste che ben difficilmente riusciranno ad attrarre chi non vi si ritrovava già. Posizioni non troppo diverse, salvo una sottile patina di politicamente corretto che la Lega non si è mai curata di possedere, da quelle di Fratelli d'Italia, il cui successo si limita, ad ogni modo, ad un modesto 3,7% delle intenzioni di voto.

A sinistra del governo, le cose dopo tutto non vanno meglio; Sel e le altre forze di quell'area restano da mesi ferme ben sotto alla soglia del 6%. Un dato che completa quello relativo ad un'opposizione che, sommando le sue componenti principali, dalla destra lepenista alla sinistra più estrema, non arriva a raccogliere il consenso di più del 38% degli italiani. Una cifra che trova il suo speculare riscontro nella fiducia riscossa personalmente da Matteo Renzi, che è tornata a veleggiare sopra al 60%. Stanno con il presidente del Consiglio la stragrande maggioranza degli elettori del PD, peraltro dato al 41,2%, ancora sopra al 40,8% delle ultime Europee) e dei superstiti elettori del NCD, in via di rapida evaporazione, al 2,6%, nonostante le uscite di un Alfano sempre a caccia di visibilità (Angelino, ma stare zitto… proprio no?). Si fidano di Renzi, però, anche la metà degli elettori di Forza Italia; di un altro partito in crisi d'identità, ma che è riuscito ad arrestare la propria caduta al 15,6%, proprio adottando una linea di opposizione morbidissima. Tanto morbida da sembrare, basta pensare alla cinquantina di senatori precauzionalmente rimasti lontani dall'aula in occasione del voto sul Jobs Act, un vero e proprio appoggio esterno.

La prova dell'esistenza di innominabili accordi tra Renzi e Berlusconi? Lo scopriremo il giorno in cui Napolitano dovesse decidere di averne abbastanza. E l'appoggio che Renzi riceve anche dall'elettorato berlusconiano, mentre le tessere piddine diminuiscono, è la dimostrazione della “deriva centrista” sua e del suo governo? Sicuramente è il segno dell'esistenza, nel paese, di una maggioranza, ben più ampia di quella parlamentare. Una maggioranza silenziosa, che non minaccia ad ogni momento d'invadere le piazze, che in rete ci va poco o nulla, ma che spera che Renzi riesca, in qualche modo, a tirare il paese fuori dal pantano. Una maggioranza che Renzi si è conquistato con il proprio operato? Fosse vero. Renzi ha fin qui fatto poco. Pochissimo. Quelle dieci auto blu a suo tempo vendute su eBay sono il simbolo del suo modo di procedere; grandi annunci, tra squilli di tromba, poi praticamente nulla. Il Jobs act? Un pannicello caldo. E la battaglia sull'articolo 18? Un'operazione di alto valore pubblicitario, ma di scarsissima rilevanza pratica. Combattuta di propria iniziativa, senza nessun'impulso a farlo dall'Europa e senza fare neanche gli interessi degli industriali, per la stragrande maggioranza dei quali l'articolo 18 (all'origine di non più di 20 - venti - cause giudiziarie l'anno) non ha la minima rilevanza.

Le ragioni del successo di Renzi sono altre. Dice quasi bene chi lo accusa di stare rifacendo la Dc. Forse non è del tutto vero. Verissimo, però, è che le opposizioni, tra fughe indietro ed in avanti, proposte di uscita dall'Euro e dall'UE, piani per soluzioni argentine o albanesi dei nostri problemi, stanno riuscendo a spaventare l'elettorato moderato come e più del PCI dei tempi andati. Infinitamente di più di quello berlingueriano che faceva dire a Montanelli, ancora nel 1976, “turiamoci il naso e votiamo DC”.

E si turano il naso anche tanti che voterebbero oggi per Renzi. Tanti che non si illudono che possa o voglia portare a termine alcuna radicale riforma, ma che, in un panorama politico che non presenta alternative che non sembrino un salto nel buio, non saprebbero proprio di chi altri fidarsi.



Foto: Palazzo Chigi/Flickr

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