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Mafie in provincia di Imperia. Rimosso il prefetto “miope” che non vide le infiltrazioni

Disse che a Bordighera, dove venivano minacciati assessori e sindaco, non c’erano infiltrazioni mafiose. Ma Maroni ha sciolto lo stesso il Comune, e lo ha trasferito. È l’ultima puntata di un cortocircuito istituzionale in una provincia che sembra sempre di più la Sicilia di Leonardo Sciascia.


In provincia di Imperia c’è la mafia. Ci sono i Pellegrino e i Barilaro a cui, meno di due mesi e mezzo fa sono stati sequestrati tutti i beni – quelli che il Tribunale di Imperia ha ritenuto riconducibili ai fratelli pregiudicati Michele, Maurizio e Roberto Pellegrino – tra i quali anche tre ville. I Pellegrino sarebbero legati anche alla cosca Santaiti-Seminara di Gioffrè, in provincia di Reggio Calabria. E sono sotto processo a Imperia per le minacce agli assessori del comune di Bordighera, dove fanno affari insieme ai Valente e ai De Marte, imputati con Maurizio Pellegrino per un’estorsione all’agriturismo di un piccolo paesino tra Sanremo e Ventimiglia.

In provincia di Imperia c’è la famiglia Mafodda, che opera da più di vent’anni ad Arma di Taggia, nel territorio tra Imperia e Sanremo. Il più anziano dei tre fratelli Mafodda è stato appena processato e condannato per tentato omicidio, ma la loro prima condanna risale al 1993: una delle prime condanne in Liguria per mafia. E oggi, nel territorio di Imperia, le cosche continuano a fare le stesse cose di vent’anni fa: incendi ed estorsioni. In provincia di Imperia c’è l’hashish che arriva da navi su cui i corrieri della droga ne imbarcano con loro trecento chili per volta.

Ci sono i capi ‘Ndrangheta di Ventimiglia, che mal sopportano i metodi spicci dei Pellegrino e dei Barilaro che stanno mandando in fumo tutta l’attività di “mimetizzazione” che hanno portato avanti per anni.

In provincia di Imperia, tra Sanremo e Diano Marina, ci sono altre famiglie calabresi, legate dagli stessi rapporti di parentela tipici della 'Ndrangheta. Per esempio i Ventre, occupati, secondo gli investigatori, "nelle atività illecite tipiche delle cosche, in particolare il traffico di sostnze stupefacenti". In provincia d'Imperia c'è un casinò, quello di Sanremo, in mano alla Camorra napoletana: il suo ex direttore generale è imputato per distrazione patrimoniale.

Sono decenni che il casinò di Sanremo è nel mirino delle mafie. Negli anni Ottanta fu Nitto Santapaola, boss di Cosa nostra, a tentare di scalarlo, ma i magistrati di Milano sventarono l’operazione. Dagli arresti riuscì a sfuggire un amico di Santapaola, Gaetano Corallo, il boss di Catania rinviato a giudizio nell’89 per il suo ruolo di collegamento mafioso con il mondo del gioco, poi condannato a sette anni e mezzo. Lo stesso che nel 1983 fu trovato in compagnia di Marcello Dell’Utri quando andarono ad arrestarlo in casa. Oggi suo figlio Francesco vive alle Antille, a Saint Maarten, dove ha messo in piedi, con una lunga catena di società off-shore, la prima concessionaria italiana di slot machine, la Atlantis World (oggi Betplus), che da sola vale il trenta per cento del mercato e fattura più della Fiat. Nel consiglio d’amministrazione della rappresentante italiana di questa società con sede a Saint Lucia (la stessa isola della fiduciaria che possiede la casa di Montecarlo in cui vive il cognato di Fini, Giancarlo Tulliani) sedeva anche Amedeo Laboccetta, ex consigliere campano di An, oggi parlamentare Pdl, che invitò Gianfranco Fini in vacanza a Saint Marteen e che di Corallo si definisce amico. E sempre per l’Atlantis ha lavorato l’avvocato Giancarlo Lanna, già commissario della federazione napoletana di An e oggi parte del comitato esecutivo della fondazione Farefuturo.

A Imperia il presidente del Tribunale, Gianfranco Boccalatte, che per tanti anni ha presieduto anche il Tribunale di Sanremo, è stato arrestato ai domiciliari il 19 maggio scorso con l’accusa di corruzione per avere agevolato dei detenuti legati ai clan.

In provincia di Imperia c’è un prefetto, o meglio, c’era. Si chiama Francesco Di Menna. Il ministro Maroni l’ha rimosso la settimana scorsa con la scusa di una promozione a Roma negli uffici del Viminale. Ma per capire meglio cos’è successo bisogna tornare indietro di pochi mesi. Di Menna, prima di essere trasferito, era appena riuscito a sottoscrivere, in qualità di prefetto, un “Patto di legalità” con i presidenti dell’Unione degli industriali, l’amministrazione provinciale e i sindaci di Imperia e Sanremo. Ma il 21 maggio scorso aveva inviato al ministero la sua relazione su Bordighera, su cui pendeva una richiesta di scioglimento del Consiglio comunale per infiltrazioni mafiose, in cui difendeva il comune: nessun condizionamento mafioso, diceva Di Menna. Maroni, però, non la pensava allo stesso modo.

Le indagini dei carabinieri avevano evidenziato pressioni, da parte dei Pellegrino e dei Barilaro, sul sindaco del paese e su due assessori, Marco Sferrazza e Ugo Ingenito, anche per ottenere l’apertura di una sala giochi (il processo è in corso in queste settimane). Secondo gli investigatori la famiglia Pellegrino aveva “assunto una posizione egemone” nel settore imprenditoriale degli scavi del movimento terra, arrivando ad aggiudicarsi appalti e sub-appalti anche per lavori pubblici.


I clan vogliono lavorare a tutti i costi, anche minacciando gli imprenditori. Ed estorcendoli. Il 25 maggio dell’anno scorso una macchina ha affiancato quella di Pier Giorgio Parodi, geometra, uno dei più grandi imprenditori edili della Liguria. Lui ha riconosciuto gli uomini nell’altra macchina: avevano lavorato con lui per anni. Con uno di loro aveva avuto una discussione la mattina stessa. Ma non si è voluto fermare. Allora i due, Ettore Castellana e Nunzio Rondi, oggi sotto processo a Imperia, hanno imbracciato un fucile e hanno iniziato a sparare contro l’auto di Parodi. Pretendevano che l’imprenditore facesse lavorare, nel movimento terra per i lavori del porto di Ventimiglia, i camion provenienti dalla Calabria: un euro e mezzo per ogni tonnellata di materiale movimentato. In tutto, ai camionisti calabresi sarebbe andato più di mezzo milione di euro.

Parodi, invece di denunciare gli estorsori e l’attentato, è sceso a patti. E quando i pm l’hanno chiamato in Procura, ha negato. Solo dopo essere stato messo davanti al racconto di un testimone che aveva assistito alla scena è stato costretto ad ammettere tutto. “Non li ho denunciati perché lavoravo con queste persone da decenni”, ha detto Parodi in Tribunale. “Qualche settimana dopo sono anche venuti nel mio ufficio a chiedere scusa”. Gentili.

Le conclusioni del ministro dell’Interno non possono essere più chiare: a Bordighera c’erano “forme di ingerenza da parte della criminalità organizzata” anche per influenzare “la libera determinazione degli organi elettivi”. Ma l’ex prefetto Di Menna non era d’accordo: per lui c’erano solo “irregolarità di tipo amministrativo, senza ingiustificati favoritismi” nei confronti dei Pellegrino e dei Barilaro.

Adesso però lui è stato trasferito, mentre Bordighera, dal 10 marzo, è il primo comune del Nord-Ovest sciolto per infiltrazioni mafiose dopo Bordonecchia, in provincia di Torino, sciolto nel lontano 1995. “Sono servitore dello Stato – ha detto Di Menna – e da tale mi comporto. Peraltro tornare a Roma, dove sono stato impiegato al Ministero per trent’anni, mi rende felice. Avrei solo voluto, prima di andare via, concludere alcuni accordi e protocolli in provincia”.

Eppure, fuori dagli enigmatici meccanismi di avvicendamento del Viminale, pare di assistere all’ultima puntata di uno strano garbuglio istituzionale imperiese. Di Menna era arrivato a Imperia a inizio 2010, dopo l’arresto del presidente del Tribunale e l’azzeramento dei vertici della procura della città salutato con entusiasmo – come emerge dal verbale dell’audizione in commissione antimafia del procuratore Anna Canepa pubblicato a luglio da Agoravox – da tanti pm. Poi è stato rimosso il questore, accusato anche lui da alcuni di sottovalutare i fenomeni mafiosi sul territorio. Ora è la volta del prefetto che non vide infiltrazioni mafiose nel comune in cui gli ‘Ndranghetisti minacciavano sindaci e assessori.

Al suo posto è arrivata Fiamma Spena, una donna partenopea con una lunghissima esperienza nel contrasto alle infiltrazioni mafiose nella pubblica amministrazione, sia come prefetto in diverse procure del Sud che come commissario di comuni sciolti per mafia (Acerra, Ottaviano, Marcianise) e coordinatrice di diverse commissioni ispettive. Che ora dovrà confrontarsi con una provincia che sembra sempre di più la Sicilia di Leonardo Sciascia. “Come diavolo mandano uno come lui in una zona come questa? Qui ci vuole discrezione, amico mio; naso, tranquillità di mente, calma: questo ci vuole… E mandano uno che ha il fuoco di Farfarello…”


DOCUMENTO: Mafie in Liguria, così magistrati e prefetti le coprivano

INTERVISTA: "In Liguria la mafia vuole condizionare la politica". Parla il procuratore capo di Sanremo



 

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