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Lost in translation e lo spaesamento nella città postmoderna

Lost in translation è un film diretto e prodotto da Sofia Coppola, regista di Il giardino delle vergini suicideMarie AntoinetteSomewhere e Bling Ring. Il film presenta lo stile inconfondibile della regista che crea atmosfere surreali e disincantate per i vari personaggi presenti nei suoi film.

Sai mantenere un segreto? Sto organizzando un’evasione da un carcere. Mi serve, diciamo, un complice. Prima dobbiamo andarcene da questo bar, poi dall’albergo, dalla città e infine dal paese. Ci stai o non ci stai?”

Queste sono le parole che dice Bob a Charlotte dopo averla incontrata varie volte al bar. Bob (Bill Murray) è un uomo di mezza età che per una pubblicità per un whisky si è dovuto spostare dagli USA a Tokyo. Charlotte (Scarlett Johansson) è una laureata in filosofia che accompagna il giovane marito fotografo nel suo lavoro nella grande metropoli giapponese. Entrambi i personaggi si sentono spaesati e smarriti in questa metropoli… ma perché?

Lo spaesamento dei due personaggi chiave del film è dovuto soprattutto all’incontro con una cultura tanto diversa da quella americana, una cultura che però è anche tanto simile a quest’ultima perché, comunque, il Giappone è un paese capitalista come gli USA. Lo spaesamento, allora, ha altre cause.

Innanzitutto, i due sono immersi in una città tipicamente postmoderna, città senza un centro, città caotica e super-veloce, città immensa per le sue proporzioni. A questo si aggiunge il fatto che entrambi i personaggi non si sentono completamente a loro agio con i loro rispettivi partner. Charlotte viene abbandonata da suo marito per lavoro e passa intere giornate vicino alla finestra del suo hotel a guardare lo skyline dei grattacieli di Tokyo. Bob, come dice a Charlotte in una scena del film, è in fuga dal suo matrimonio oltremodo asfissiante.

I due personaggi si incontrano nel bar dove Bob è solito sorseggiare alcolici e perdere tempo perché non riesce a dormire. I due si incontrano al bar perché soffrono di insonnia, sintomo di un malessere generale oltre che di una condizione di solitudine che entrambi i personaggi avvertono. Tra i due nasce subito un affetto tenero e semplice. Si cominciano a frequentare e Charlotte invita anche l’uomo a passare una serata in diversi locali insieme a suoi amici giapponesi.

La Tokyo sfavillante e abbagliante con tante luci e attrattive non fa per loro due: essi, spesso, restano in camera, parlano, si guardano e si capiscono perfettamente. I due sono anime sperdute che si incontrano nell’oblio di un luogo a cui sentono di non appartenere. Ecco che le parole citate sopra, parole di Bob dette al bar, hanno senso: entrambi i personaggi si sentono come prigionieri in un carcere. La loro condizione di vita attuale, come anche la città di Tokyo, è una gabbia da cui sembra non possano uscire in nessun modo. In questa sorta di “prigionia” i due si fanno compagnia e si confortano a vicenda.

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