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Lo spreco del nostro patrimonio turismo: che fare?

In Italia c’è il più ingente patrimonio culturale del mondo; quello ambientale regge bene il distacco con le mete esotiche più incontaminate, per via della varietà paesaggistica, che va dal mare alla montagna, senza trascurare la campagna, i fiumi ed i laghi. Un paese con simile ineguagliabile primato dovrebbe vivere esclusivamente di turismo, invece… Invece.

Il bilancio turistico italiano, nella graduatoria internazionale, è attestato al quinto posto dopo Francia, USA, Spagna e Cina. L’apporto del comparto turistico al prodotto interno lordo raggiunge appena il 13,3%; in Spagna è del 20%. Sono dati forniti da Assoedlilizia e Istat, rilevati ed elaborati con l’apporto di associazioni di categoria e del Politecnico di Milano. Posto che il debito pubblico italiano è pari a duemila miliardi di euro; potendo sacrificare uno degli innumerevoli “gioielli di famiglia” giacenti in Italia, ossia vendendo una sola delle città d’arte italiane, si potrebbe azzerarlo quel debito e incassare un surplus di almeno il doppio del debito.

L’economia turistica italiana ne gioverebbe di rimando, perché l’Italia, vedendo come gli ipotetici compratori di quella città d’arte posta in vendita riescono e sanno trarre profitto dall’investimento, finalmente comprenderebbe il valore e la potenzialità di quello che possiede e che addirittura cade a pezzi e va in malora, da Pompei alla Reggia di Caserta. Nelle condizioni in cui siamo, nello stagno della recessione nel quale stiamo affogando, la vendita è cosa che si può fare. Vendere Firenze, ad esempio, risolverebbe per sempre il problema dell’Italia. Il capoluogo toscano non è la città più cara d’Italia, si attesta all’ottavo posto di questa speciale classifica subito dopo Venezia, ma vendere la prima e la seconda delle città più care, che sono rispettivamente Bolzano e Bologna, non sarebbe la stessa cosa; il ricavo della vendita non sarebbe neppure lentamente paragonabile a quello di Firenze.

Siamo al paradosso laddove tutto è paradossale, in una realtà nazionale dove l’oro abbonda e non sappiamo metterne a frutto il valore, giacché non c’è angolo dell’Italia dove non si possa vivere sul turismo. Per rendere meglio l’idea della ricchezza italiana possono venire in aiuto i dati forniti da Assoedlilizia e Istat; un censimento di veri giacimenti aurei, disseminati da Trieste a Lampedusa: 100.000 chiese, di interesse artistico; 2.400 castelli iscritti al catasto e 20.000 luoghi dove giacciono quantomeno tracce di costruzioni fortificate; 90.000 palazzi di rilevanza storico-artistico-monumentale; 250.000 luoghi-paesaggio di particolare pregio. Giacimenti dunque, ma è imponente il numero di quelli a cielo aperto.

Seppure le aree archeologiche censite e organizzate siano numerose soprattutto nel Sud, esse rappresentano pur sempre una goccia nell’oceano rispetto all’ incalcolabile numero di siti presenti in tutto il territorio della Penisola. In Italia esistono193 borghi storici, riconosciuti come tali; 35.000 ville; 12 miliardi di alberi (200 ogni abitante; 40.000 per chilometro quadrato); 22 parchi nazionali (più 2 in attesa dei provvedimenti attuativi); 1121 aree protette (parchi fluviali, archeologici, naturali, regionali - storici e urbani -, aree naturali marine protette, sommerse, riserve naturali integrali e guidate, ecc.); 8.000 chilometri di coste marine con 171 porti turistici (105.000 ormeggi); 1300 chilometri di sponde lacustri, con attrezzature e reti di navigazione. Ebbene: quanto di questo ben di Dio giace sopra e sotto il suolo dell’antico territorio di Crotone?

L’intera provincia di Crotone è perfettamente in linea con i dati relativi alle attrattività turistiche nazionali, ma le possibilità di competere con altre aree, sicuramente molto meno ricche di preesistenze paesaggistiche, artistiche, ambientali e anche climatiche, sono ridotte all’osso per almeno tre ordini di fattori; il primo tra i quali è la terribile penalizzazione infrastrutturale e della rete dei trasporti. Altro fattore è lo scetticismo in merito alla vocazione turistica del territorio; cioè se si tratti di un comparto produttivo di nicchia, legato alla stagionalità, oppure di un settore che può risollevare l’economia per tutto l’anno tra attività che vanno dalla manutenzione alla programmazione. Ultimo fattore è che Crotone si trova in una di quelle regioni dove le competenze legislative in materia turistica portano una enorme dispersione di risorse ed energie, laddove risultano essere ingenti le risorse, provenienti soprattutto da finanziamento comunitari, e davvero scarsissimi e irrisori i risultati. Colpa di quell’endemica e inestirpabile convinzione, propria della politica locale, del “più pilu per tutti” affinché tutti siano contenti. Un esempio? Le navi da crociera che hanno preso a transitare a Crotone, in quanti altri porti della Calabria devono approdare per non scontentare nessuno? Così è per il traffico aereo, laddove la concorrenza tra gli scali aerei calabresi rischia di diventare feroce per via del vettore low-cost , incentivato dalla Regione a venire in Calabria, e “tirato per le ali” prima ancora che decida di atterrare a Crotone piuttosto che a Reggio. Di collegamenti stradali non ne parliamo; quelli ferroviari non esistono, ma non è finita; il territorio provinciale crotonese deve fare i conti con i dati sull’andamento del comparto turistico in tempi di recessione dell’intero apparato produttivo italiano. Questi i dati essenziali rilevati da Assoedlilizia e Istat per il 2012, in riferimento ai consumatori, ossia ai vacanzieri italiani: vacanze di una settimana per il 63%; fino a due settimane per il 34%; oltre questa soglia va soltanto il il 3%; i fortunati, cioè gli italiani che possono trascorrere almeno un mese di vacanze, sono l’ 1%.

Quello delle vacanze e del turismo è un settore produttivo, oppure l’apporto economico fornito dall’industria turistica è come la pioggerellina che non riempie i pozzi? Oltre questa traccia, qualora si decidesse di ignorarla, siamo davanti a pura improvvisazione, ed è il caso del territorio provinciale crotonese, che la vocazione turistica dice di averla, ne avrebbe pure i numeri, ma non riesce assolutamente a farne professione di fede.

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