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Lo scirocco di Gela – intervista a Rosario Crocetta

Da Confindustria che espelle gli iscritti quando pagano il pizzo a una politica diversa per l’isola. Parla il sindaco eretico che sta diventando un modello popolare di lotta al racket

Foto di Francesca Scaglione

Foto di
Francesca Scaglione



Vento di scirocco che tira un bicchiere di vino bianco ghiacciato. Sotto gli ulivi di una cooperativa sociale nelle campagne di Partinico, Rosario Crocetta, sindaco di Gela ed esponente di spicco - ed eretico - della sinistra siciliana («Sinistra, scriva bene, ma non questa sinistra», specifica con un sorriso inequivocabile), si leva la giacca e affronta una fetta di melone e una lunga discussione su politica, legalità e trasformazione della società non solo siciliana. «In questo momento quello che mi fa più paura è questa alleanza fra Raffaele Lombardo e la Lega - esordisce -. Un’alleanza tutta strumentale, ma che diffonde anche qui questo razzismo, questa intolleranza, questa paura della diversità».

Facendo un ragionamento per l’assurdo, Lombardo resisterebbe persino davanti a una caduta del governo Berlusconi?

Senza ombra di dubbio. Il potere di Raffaele Lombardo è enorme e si rafforzerà ancora di più nei prossimi mesi, anche perché in questo momento in Sicilia non esiste un’opposizione credibile. E poi ricordiamocelo: qui non si è mai votato anticipatamente per questioni politiche. Il voto del dopo Cuffaro, lo scioglimento anticipato dell’assemblea regionale siciliana, lo potremmo definire “tecnico”.

Parliamo dell’attualità di questi giorni?

Parliamone.

Durante la conferenza stampa della Confindustria siciliana sull’espulsione degli imprenditori che si rifiutano di denunciare il racket, il caso Gela e la sua politica sono stati portati come esempio dal presidente Lo Bello. Quello di Confindustria è un processo vero o si tratta solo di un’operazione di immagine?

È una cosa vera. Che è partita proprio dal nostro territorio con l’alleanza fra amministrazione e imprese sulla legalità e sulla trasparenza che deve passare dalla lotta al racket. Attenzione a non delegittimare solo per cercare il classico pelo nell’uovo, un processo che non ha precedenti nella storia della Sicilia. Bisogna capire che la rivolta degli industriali è un fatto totalmente inedito, non soltanto nella storia siciliana, ma anche in quella italiana. Noi abbiamo avuto dall’unità d’Italia una classe imprenditoriale sostanzialmente organica a un sistema di potere politico e in parte, com’è avvenuto in alcune aree degradate del Paese, con il sistema criminale. Ed è per questo che sostengo questa novità. Perché è un primo segnale di cambiamento e va sostenuto.

Eppure Confindustria non ha fatto ancora i nomi di chi è stato espulso o sospeso.

Credo che la ragione per cui l’associazione degli industriali non ha reso pubblici i nomi degli imprenditori allontanati sia strettamente legale, per non incorrere in querele o procedimenti simili.

Ma in questo modo, non diffondendo i nomi e la ragione delle espulsioni, non si tutela anche chi, pagando il pizzo, si è garantito un accesso preferenziale al mercato attraverso una distorsione delle regole della concorrenza?

L’antimafia e l’antiracket non sono in contraddizione, e qui su questo terreno devono trovare un innesto. È quindi fondamentale individuare l’importanza di questo processo. Se si fa fuori ora Ivan Lo Bello, si ferma tutto. Le racconto una cosa avvenuta qualche anno fa all’inizio del mio mandato. Era evidente, all’epoca, che andava espulso un esponente di spicco come Di Vincenzo (imprenditore condannato per associazione mafiosa, ndr): tutti concordavano, tutti a parole rassicuravano, ma non veniva mai convocato il direttivo per poter formalizzare questo passaggio. E attenzione: la riunione non veniva convocata da Confindustria nazionale. Io sollecitavo il piano locale e nazionale, ma sembrava che nessuno capisse l’urgenza di fare chiarezza. Alla fine mi decisi a chiamare Montezemolo a Roma e la segreteria mi comunicò che non era possibile parlare con il presidente perché questi era in Cina. Non mi sono perso d’animo e ho detto: “Comunichi al presidente che se entro domani non verrà convocato il direttivo di Confindustria per cacciare il mafioso Di Vincenzo io terrò una conferenza stampa per denunciare il finto moralismo dell’attuale gruppo dirigente”. La mattina dopo la segreteria mi chiama per comunicarmi la convocazione del direttivo.

Quindi, non è poi così tutto facile.

Eh no. Basti pensare che Confindustria Calabria si rifiuta di avviare questo processo, di fare il salto di qualità. La proposta è talmente nuova, innovativa, scardinante che ha bisogno di tempo per maturare. Ora, chiaramente, siamo davanti a un fenomeno coraggioso, ancora ristretto ma importantissimo. In questo momento storico siamo davanti a un paradosso. Non è la maggioranza a portare avanti delle politiche di legalità, ma sono le minoranze a farlo. In Sicilia tutto è compenetrato di mafia. E per tutto, intendo tutto. E ora c’è una parte della società che non lo è. Una parte delle istituzioni che non lo è.

E allora andiamo a descriverla questa difficile convivenza. Ci sono molti casi di politici, di ogni schieramento, che sono stati avvistati con mafiosi, intercettati, fotografati e filmati.

In Sicilia è molto difficile non trovarsi almeno una volta a prendere un caffè con un mafioso. La mafia è così endemica e diffusa che non è possibile pensare di evitare ogni incontro. Questo vale per ogni luogo, da Palermo a Gela, da Catania e Partinico. Ci sono casi, come quello dell’onorevole Crisafulli (esponente Ds intercettato, sul quale non pendono procedimenti giudiziari, ndr) che sembrano essere più complessi. Lì non si trattava di un incontro in un bar o in una cena con una persona, poi risultata mafiosa, incontrata quasi casualmente. Nel caso di Crisafulli lui è stato intercettato mentre parlava di appalti.

E andiamo a conversare di Gela. Un progetto, quello da lei portato nella sua città, che ha mostrato un nuovo modo di fare antimafia.

Sta parlando dell’antimafia noiosa? Sì, chiamiamola noiosa.

Noiosa. Lei sembra aver sdoganato dai salotti dell’antimafia l’impegno per la legalità trasformandola in un fenomeno popolare. Un’antimafia nazional-popolare?

Io sono andato oltre il nazional-popolare (e ride). Io sono convinto che la lotta alla mafia non si fa con i proclami ma trasformandola in una battaglia di massa. Il metodo di lotta che sento mio in qualche modo si ispira a un processo teorizzato da Gramsci. Mi spiego. Il primo maggio le manifestazioni a Portella della Ginestre non erano promosse e gestite da un’élite. Erano contadini e braccianti che scendevano a Portella per occupare o rivendicare le terre. E voglio ricordare un’altra cosa. Fino a tutti gli anni Cinquanta la lotta alla mafia non la facevano i magistrati, la politica, le forze dell’ordine ma i contadini, i braccianti, gli operai. La lotta alla mafia in quel periodo ha caratteristiche di lotta sociale. Io sono assolutamente convinto che la lotta alla mafia non può essere scorporata da un’analisi sui rapporti di classe nel Mezzogiorno.

Un’analisi che sembra contraddire in gran parte l’impegno di un ceto intellettuale comunque impegnato contro la criminalità organizzata.

Perché siamo davanti a un aspetto degenerato del capitalismo. La mafia sotto parecchi aspetti è il capitalismo del Sud. Come il capitalismo in Sudafrica portava dentro di sé il razzismo, nel Mezzogiorno ha portato il rapporto degenerato e criminale con la mafia. E allora noi non possiamo pensare che questa lotta alla mafia sia solo un argomento - come dicono – tecnico, di studio, fatto di convegni, di processi educativi e così via. No, è molto più complicato. Uno può essere una persona educata, benpensante, istruita, avere studiato alla Luiss e allo stesso tempo essere un perfetto mafioso. Fenomeno che poi non riusciamo oggi a inquadrare, proprio per la metamorfosi che ha caratterizzato la mafia.

E come può la politica affrontare questo tipo di “mutazioni”?

Nell’aprile del 2003, subito dopo la mia elezione, andai dal prefetto di Caltanissetta per proporgli un nuovo protocollo, moderno, di nuova generazione, per la legalità. Tentai di introdurre i seguenti punti: primo, la questione dell’informativa antimafia per tutti; la questione dell’informativa antimafia anche per i subappalti o per appalti anche inferiori agli importi fino a quel momento individuati per legge. Tuttavia, la cosa più importante che cercai di inserire era che la “stazione appaltante”, il Comune in questo caso, potesse revocare l’appalto in caso di azienda appaltatrice non in regola con i contratti di lavoro dipendente, con il pagamento delle prestazioni, con la posizione contributiva e con le normative sulla sicurezza. Bene, su questi punti, ovvero informativa antimafia preventiva e sicurezza sociale, ho avuto uno scontro difficile con il rappresentante di Confindustria, all’epoca proprio Di Vincenzo. Oggi, invece, hai Confindustria che su questo ti chiede come amministratore di decidere queste misure. Si tratta di un cambiamento enorme di atteggiamento e di approccio alla legalità.

E arriviamo alla politica. Lei viene definito un comunista eretico.

Forse perché non mi definisco di formazione marxista. Io mi sento un comunista utopico. Sono comunista e lo sono più degli stessi comunisti marxisti. Nel senso che questi ritengono la loro posizione sulla proprietà privata come una di equità, di necessità di redistribuzione, di qualcosa che si rimodula a seconda delle necessità dell’economia e perciò contrattabile. Io invece ne faccio una discriminante fra morale e immorale, che è cosa diversa. Considero la ricchezza esistente, davanti alla miseria, alla povertà di interi popoli, immorale. Quindi per me è un fatto etico essere comunista.

E lei si sente dentro questa sinistra italiana di oggi?
Quale sinistra?

Va bene, vogliamo parlare del Pd?
Veltroni mi piace molto. A essere sincero non condivido le critiche che vengono fatte nei suoi confronti. Rappresenta un quadro di innovazione nella politica italiana che ritengo senza precedenti. Solo che la politica italiana non lo può capire perché troppo inchiodata al sistema dei partiti e al senso di appartenenza. Veltroni ha fatto una proposta ampia, che potrebbe essere un contenitore vasto, anche per altre forze della sinistra. Se si superano una serie di preconcetti a sinistra - e credo che dovrebbe superarli anche lo stesso Pd perché si devono rendere conto che da soli non potranno mai vincere le elezioni - sarà possibile arrivare a una seria alleanza e a una proposta per il Paese. Ma è necessario un atto collettivo e il coraggio dei singoli. 

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