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Legalità... in polveri. L’Ilva e i patimenti di una comunità

Si apre con De Cataldo e Carbone il Laboratorio di cittadinanza attiva al Tatà di Taranto: Apriticielo, la moderna Agorà cittadina. Il binomio bellezza-scempiaggine è sempre attuale. Ciò che è bello fatica ad affermarsi, il più delle volte deve scendere a compromessi per non cedere; privarsi di un po’ del suo fascino per non disturbare troppo; evitare di mostrarsi, pena l’accusa di essere fatuo e superbo. Ciò che è bello può essere mortificato con la lusinga. Pare che la dignità, talvolta, non gli appartenga di diritto, ma deve essere acquisita a furia di ruggiti, alla stregua di una bestia di antico splendore che conquista il suo diritto di sopravvivenza. Così appare Taranto negli ultimi mesi: un leone deturpato della sua bellezza e in gabbia.

Apriticielo è un laboratorio di cittadinanza attiva, inaugurato domenica sera al Tatà dallo staff infaticabile del Crest. L’intento è di pensare alla cultura e al palcoscenico come moderna “agorà”, luogo di incontro-scontro di idee e fermenti. L’informazione si fa arte dialettica e ripensa il bello.

Al primo incontro, domenica 2 dicembre, sono stati invitati Giancarlo De Cataldo, giudice e scrittore di romanzi come microscopi nelle fibre di realtà criminali, e Maurizio Carbone, sostituto Procuratore a Taranto dal ’95 e dallo scorso marzo segretario generale dell’Anm. Il dibattito “Legalità… in polveri”, moderato da un acuto e indignato Mimmo Mazza della Gazzetta del Mezzogiorno, intendeva soffermarsi sullo stato della legalità e criminalità a Taranto che, per decenni, si è elegantemente accompagnata alla crescita dell’acciaieria. Nei fatti, l’incontro è stato un approfondimento tecnico e veemente sugli avvenimenti tarantini a partire dal luglio scorso. De Cataldo e Carbone alternavano i loro commenti appoggiandosi uno alla tesi dell’altro: il primo parlava della città come se la vedesse dal finestrino di un aereo. La sua è una panoramica addolorata, ma a distanza, di chi comprende dinamiche note sia per esercizio professionale che per effetto di quel processo che rende piccoli malesseri indicatori di più estese e irreversibili patologie. Il Magistrato, invece, ha una visione pacata e, a tratti, appassionata della città: ha il piglio distinto di chi sa spiegare il proprio lavoro con parole semplici perché ne ha fatto il suo stile di vita. La discussione prelude il monologo teatrale “Acido Fenico” scritto da De Cataldo. Domenico Carunchio, malavitoso tarantino affiliato alla Sacra Corona Unita, racconta la sua vita come un percorso continuo e sempre più veloce all’interno di un sistema che, al pari di un vortice, trascina tutto ciò che incontra nel buio del malaffare. E lo sfondo del suo andare è sempre Taranto. E l’Ilva.

Le affermazioni di Carbone sono chiare:La Magistratura si occupa da anni dei reati ambientali. Il sequestro di luglio ha fatto diventare il caso Ilva un caso nazionale, ha smosso molte coscienze, ha permesso alla città di reagire con ribellioni e consapevolezza del diritto alla salute previsto dalla Costituzione. Pare una svolta che Monti riconosca le reiterate omissioni e i ritardi accumulati nel tempo, ma è bizzarro che un ministro, che dovrebbe essere la parte offesa, sia in contrasto con la Magistratura costretta al sequestro dello stabilimento più grande d’Europa. Eppure una svolta doveva arrivare”.

De Cataldo cita la “ragion di Stato”: il potere centrale fa appello alla responsabilità politica della Magistratura tarantina verso l’accettazione del Decreto Legge degli ultimi giorni che, in definitiva, resta farraginoso riguardo le modalità di recupero dei fondi per le bonifiche. “Sono esigenze nazionali che non fanno cenno ai benefici a vantaggio della città, ma solo a vantaggio della collettività nazionale”, chiarisce il giudice-scrittore. Disorienta constatare il divario fra poteri che dovrebbero, invece, equilibrarsi per il bene comune e nazionale. “Un decreto legge che sospende di diritto un provvedimento dell’Autorità di Giustizia, perpetua reati che mettono in pericolo la salute dei cittadini ma - ribadisce Carbone – ciò non toglie che si tratta di un caso complesso, su cui tutte le istituzioni sono invitate a confrontarsi e che vuole tutelare il diritto al lavoro, oltreché quello alla salute. Eppure occorre lavorare nel rispetto delle competenze, perché la separazione dei poteri è il fondamento della democrazia, mentre così si sancisce l’inefficacia delle norme della Magistratura”.

De Cataldo e Carbone convengono che evidentemente tutto è sacrificabile alla logica del profitto, anche la Costituzione. E ancora di più il destino di una città a cui si vuole imporre l’ennesima violazione della dignità civile. La platea del Tatà, già accorata, si solleva d’impeto appena si richiama l’opportunità di un tavolo di trattative con le istituzioni locali. Il malessere locale ricorda la perdita di fiducia di un Paese verso la mediazione politica. Come la mancanza di fiducia verso tutto ciò che si percepisce come un bavaglio. In rapida successione vengono in mente lo slogan pubblicitario luminoso che recita “Taranto è bella grazie al cielo, pulita grazie a te”, la deturpazione del profilo della città, l’idea del leone in gabbia e alcune scene di Totò, Peppino e i fuorilegge.

Tre domande.

Magistratura e Scrittura. Si usa lo stesso senso civico?

De Cataldo: “No. Sono due cose diverse. Non scrivo per senso civico. Il magistrato è al servizio dello Stato, lo scrittore soddisfa il suo narcisismo e non necessariamente scrive per dare una lezione intellettuale, piuttosto scrive storie che gli stanno a cuore. Non sempre la letteratura ha una funzione sociale, io scrivo quando mi innamoro di una storia e nel presente introduco una visione del mondo, magari critica, che rimbalza nel romanzo. Il Magistrato non usa la soggettività, non deve essere appassionato, ma può appassionarsi dei personaggi che incontra per lavoro, delle vittime come degli imputati. Si appassiona alla logicità del processo, alla possibilità di dimostrare, spiegare e comprendere il reato. Così è portato a migliorarsi attraverso l’esercizio del dubbio, ma mette in campo scelte acritiche.”

Dalle nostre parti sembra sempre tutto più difficile: per un cittadino come per le istituzioni. Ci saranno pure ragioni storico-sociali, ma alla fine non veniamo mai presi sul serio.

Carbone: “Purtroppo è così. Qui si ha la sensazione di fare sempre più fatica. Io spero che non sia vero, che non si presenti l’occasione per pensarlo. Intanto è proprio da questo che noi traiamo la nostra forza. E andiamo avanti.”

La città si indigna e si ribella. Eppure qualche mese fa la maggior parte di chi ora scalpita ha votato lo stesso primo cittadino dalle mani in tasca e, ben più grave, ha permesso che Bonelli, leader dei Verdi, fosse sorpassato dal figlio di Cito. Quanto sarà grave?

De Cataldo e Carbone invece di rispondere sorridono all’improvviso. La bellezza della nostra terra paga il suo tributo. Mentre ci allontaniamo De Cataldo allarga le braccia e sussurra “Più che scrivere Terroni (romanzo del 2006 nda) non potevo!”

 

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