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Le meraviglie, di Alice Rohrwacher

Il premio speciale della giuria di Cannes a “Le meraviglie” potrebbe essere dovuto alla simpatia che suscitano le ragazze, da Gelsomina, 13enne protagonista attorno ai cui sentimenti ruotano la macchina da presa e le attenzioni della famiglia in cui vive, tutto sembra a lei riferirsi, fino alle tre sue sorelle. Parrebbe il mondo dei grandi visto dai bambini, le loro capacità di adattamento gli fanno vivere qualsiasi vita venga loro data, sia essa in una fattoria dove si allevano animali e si ricava il miele dalle api, con sistemi del tutto biologici, sia esso un set televisivo che li fa sognare.
 
Il film è senz’altro meritevole di un “certain regard” per la delicatezza che la regista Alice Rohrwacher mette nel descrivere l’ambiente umano e rurale dove la vicenda si svolge, ma anche un po’ sconclusionato perché non è ben chiaro se si tratta di una biografia adolescenziale, coi ricordi e il primo amore che nasce insospettabile – di Gelsomina per Martin, un ragazzino disadattato che è loro ospite per essere recuperato – oppure se si tratta del rapporto improbabile tra programmi tv dei più kitsch e una vita agreste così lontana da quel mondo. Un mondo di pietre e di concretezza accostato ad uno di celluloide e plastica. Il concorso televisivo vuole raccontare le meraviglie delle produzioni agricole più genuine, ma lo fa vestendo il mondo contadino di costumi di pessimo gusto in qualche modo in relazione alle origini etrusche del luogo. La tv è “ben” rappresentata dal direttore del programma, adagiato mollemente sulla prua della barchetta Lucifero (e luciferino è lo scopo della tv di far soldi da qualsiasi evento) che porta la troupe a riprendere le famiglie, che concorrono a un premio per le loro produzioni, e dalla matura e affascinante Monica Bellucci che sembra avere attorno a sé un’aura di santità mediatica, almeno agli occhi dei semplici e perciò Gelsomina ne rimane conquistata.


 
Non si capisce poi la presenza del tedesco amico di papà Wolfgang, presenza inquieta e equivoca, come non si comprende quella del cammello sull’aia, che questo burbero e umorale papà ha voluto comprare alle figlie, forse per mostrare ancora di più il senso di Gelsomina per gli animali (frase mutuata da “Il senso di Smilla per la neve”). Senza molto senso sembra pure la provenienza o il linguaggio dei personaggi, tra il francese di Alba Rohrwacher, il tedesco del marito e l’italiano parlato più o meno da tutti, col tedesco Wolfgang che lo parla come un immigrato dall’est europeo.
 
La stessa delicatezza è usata dalla Rohrwacher nel film del 2011, "Corpo Celeste", un film decisamente migliore del nuovo e premiato "Le meraviglie", almeno perché prende posizione contro l’interpretazione a proprio uso e consumo della religione nel ventre italico profondo, con corredo di santini elettorali spacciati dal prete (l’indimenticato sarto Salvatore Cantalupo di Gomorra) ai propri fedeli. Qui il film è visto dagli occhi dell’adolescente 13enne Marta, trasferitasi in Calabria dalla Svizzera: si tratta anche in questo caso delle storture o ottusità dei grandi viste dagli occhi di bambini.

 

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