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Le maledette cifre del Covid19

Il Coronavirus ha compiuto e sta compiendo stragi in tutti quei Paesi – compresa l’Italia – dove, malgrado i proclami ufficiali in senso contrario, gli interessi economici hanno avuto il sopravvento nella gestione della pandemia. Invece nei Paesi che hanno saputo imporre due o tre mesi di lock down rigoroso a tutte le aziende e a tutte le attività (tranne i servizi essenziali alla sopravvivenza), il Coronavirus è stato vinto e la vita, compresa quella economica, è già ripresa come prima. Una lezione per noi tutti.

Veniano ora alla nostra situazione. All’indomani del nuovo DPCM e dei 21 indicatori su cui il Governo si è basato per la suddivisione dell’Italia in aree gialle, arancioni e rosse, uno di questi è il famoso e fumoso Rt (R con t).

R0 o Rt?

La risposta è semplice, ma solo per chi ha studiato un po’di fisica, per esempio. Quando dobbiamo esprimere la misurazione di una grandezza (che possiamo chiamare R) nel tempo, di solito si usa la scrittura R “0” per indicate il valore al tempo “0” cioè all’inizio della misurazione (in fisica classica il tempo non può essere un valore negativo) e R”t” per indicare il valore della grandezza R al tempo “t”, appunto.

Ma quanto è “t”? t, è la variabile che indica tutti gli istanti successivi a 0: t può essere un minuto, un’ora, un giorno, un mese” e via dicendo. Rt è una curva che rappresenta un andamento di R nel corso del tempo (t). Nel caso dei rilevamenti ISS, settimana per settimana.

R0 è quindi il numero di riproduzione di una malattia infettiva cioè quante persone sono contagiate da un positivo a inizio epidemia (cioè al tempo 0). È importante avere un valore a inizio epidemia come riferimento, perché è la fase in cui ancora non sono stati introdotti farmaci o sistemi di contenimento da parte delle società. R0 rappresenta quindi il potenziale di trasmissione, o trasmissibilità, di una malattia infettiva non controllata.

Rt è una “funzione”?

Un’altra cosa che si dice di R0 è che è una “funzione della probabilità di trasmissione per singolo contatto tra una persona infetta ed una suscettibile, del numero dei contatti della persona infetta e della durata dell’infettività.” Spieghiamo: dire che un valore R è una funzione significa solo dire che dipende da altri fattori, che variano anche essi, e si dicono appunto variabili. Si parla di funzione perché in matematica le funzioni le possiamo rappresentare su un piano a due dimensioni (il piano cartesiano) e quindi vedere con i nostri occhi questo andamento, se R sale o cresce al variare di t e delle altre variabili.

Ma quali sono queste variabili da cui dipende R?

  • La probabilità di incontrare le altre persone (più alta se abito in centro a Milano e se ho una vita sociale attiva, minore se faccio il pastore sulle Dolomiti);
  • Il numero di contatti che la persona infetta ha;
  • quanto tempo la persona contagiata è infetta e quindi può mettere in pericolo altre persone.

Eccoci alla definizione di Rt: valore che indica come varia lo stato di contagiosità in una certa zona (a seconda del campione che scegliamo, oggi regionale) al variare del tempo, che a sua volta dipenderà da quali misure le regioni hanno messo in campo e dalla loro efficacia. Questo significa che a differenza di R0, Rt permette ad esempio di monitorare l’efficacia degli interventi nel corso di un’epidemia.

Come si calcola l’Rt?

Ok, ora che abbiamo capito come si definiscono questi indicatori, come si calcolano R0 e Rt? Grazie ai dati sui casi rintracciati giorno per giorno dalla sorveglianza integrata ISS e creando una curva di incidenza di questi casi giornalieri. Stando al DM del 30.04.2020 sul Monitoraggio del Rischio Sanitario, si utilizzeranno due indicatori, basati su data inizio sintomi e data di ospedalizzazione. La soglia indicata per l’allerta ad aprile era Rt minore o uguale a 1. Se superiore a 1 (come è oggi, a novembre), scatta l’allerta perché significa che con le misure vigenti ogni persona si stima ne abbia contagiata almeno un’altra. Ergo: bisogna fare di più, perché in questo modo una parte sempre più consistente finirà a intasare gli ospedali.

Cosa non dice l’Rt?

Un elemento non secondario nel calcolo dell’Rt è che si è calcolato solo sui casi sintomatici (ospedalizzato o meno) e non sugli asintomaticiQuesto perché – spiega ISS- i sintomatici sono casi certi: il numero di infezioni sono individuate secondo criteri sufficientemente stabili nel tempo. Mentre il dato sugli asintomatici ha più probabilità di essere opaco, perché dipende pesantemente da altre variabili, come la capacità di effettuare screening da parte dei dipartimenti di prevenzione e questa può variare molto nel tempo. È quindi più facile che ci siano asintomatici che non sanno di essere positivi perché non stando male non hanno mai chiesto un tampone o perché non sono mai rientrati in alcun programma di screening. In realtà a inizio settembre l’INFN (Istituto Nazionale di Fisica Nucleare) ha diffuso delle stime sull’Rt che tengono conto degli asintomatici, arrivando a un Rt=3.

Matematicamente è tutto molto onesto, ma è evidente che un Rt che tiene conto solo dei sintomatici, quindi di una piccola parte dei positivi (anche gli asintomatici sono contagiosi) non può essere l’unico parametro, e forse nemmeno il principale, per decisioni di carattere politico per il contenimento di una pandemia.[1]

Attualmente l'Rt nazionale scende a 1,18 e quasi tutte le Regioni hanno dati migliori rispetto alla settimana scorsa. Il monitoraggio settimanale della Cabina di regia non cambierà i colori delle realtà locali italiane. Nessuna infatti peggiora, e quindi non ci sono passaggi in zona arancione o rossa. Allo stesso tempo i miglioramenti ancora non producono una attenuazione delle misure.



Bisognerà aspettare la settimana prossima, cioè il monitoraggio del 27 novembre, perché queste avvengano, come ha stabilito un'ordinanza del ministro alla Salute Roberto Speranza che ha rinnovato le misure per le prime regioni messe in zona rossa il 6 novembre.[2]

Intanto l’Italia ha superato i 50 mila morti di Covid19. Un numero impressionante. Una strage silenziosa consumatasi in dieci mesi di Covid19.

L’età media dei deceduti è 80 anni, in base ai dati raccolti dall’Istituto superiore di sanità. In particolare, riguardo alle fasce di età, il 41,1% dei decessi riguardano quella tra 80 e 89 anni, il 25,5% quella tra i 70 e i 79, il 18,8% quella sopra i 90, il 9,8% quella tra 60 e 69, il 3,5% quella tra 50 e 59. Sotto i 49 anni le morti rappresentano poco più dell’1% del totale.

Numeri che riflettono lo scricchiolio degli ospedali. Un positivo su dieci ha bisogno di ricovero. Un ricoverato su dieci entra in terapia intensiva. Un malato in terapia intensiva su 3 purtroppo non ce la fa. E oggi, in quei reparti, in Italia abbiamo 3.810 persone. Durante il picco in primavera l'età media era scesa a 78 anni. A metà luglio era risalita a 85 e oggi è di nuovo poco sotto agli 80.

Quanto al sesso, gli uomini sono i più colpiti mentre le donne sono il 42,5% del totale delle persone ad aver perso la vita a causa del Coronavirus.[3]

 
Questo articolo è stato pubblicato qui

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