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Le intimidazioni "ignorate" della ’ndrangheta

In questi giorni si è dato immenso, e dico giustamente, risalto alla vicenda di Giovanni Tizian, minacciato dalla 'ndrangheta e soggetto alle misure di protezione personale conosciute volgarmente come scorta.

Gli eventi che tanto clamore mediatico hanno suscitato anche nell'immaginario collettivo riguardano le vicende che riconducono in qualche modo alla 'ndrangheta, di come opera nel modenese, come denunciate da Giovanni nella Gazzetta di Modena. Chi pensava che l'Emilia Romagna potesse essere terra felice, si è illuso ma nello stesso tempo ha ignorato quanto denunciato da tempo da varie realtà come la Commissione Antimafia.

Per esempio, nella relazione della Commissione Antimafia del 2008, si legge che "altro territorio da anni invaso dalle famiglie calabresi è l’Emilia Romagna anche se con una presenza meno invasiva rispetto a quella di altre regioni settentrionali, visto che la regione non era tra le traiettorie fondamentali dei circuiti di emigrazione e il tessuto sociale e democratico fortemente strutturato ha fatto da barriera e ha impedito un radicamento in profondità. Non mancano però presenze importanti di uomini delle ‘ndrine che trafficano droga e riciclano denaro sporco".

Questo per dire che non esiste terra felice immune dalla contaminazione mafiosa sia essa calabrese, sia essa siciliana, sia essa cinese, sia essa campana. Quando si ignorano i fenomeni nel corso del tempo o questi vengono visti e letti solo ed unicamente come questioni che riguardano il sud, o determinate e circoscritte realtà, vuol semplicemente dire essere complici di questo sistema.

Perché il non voler vedere, l'essere indifferente, l'essere passivo o peggio ancora il percepire come fattore normale che in Calabria vi sia la 'ndrangheta e che quindi chi vive in quella splendida terra deve sottostare a determinate condizioni di vita sociale, ciò non comporta altro che il fuggire da un problema che prima o poi si dovrà affrontare.

Perché la 'ndrangheta non è un problema della sola Calabria, ma di tutti. Ed allora ecco che quando il giornalista di Modena, originario della Calabria, viene minacciato, in Emilia e dalla 'ndrangheta, tutti si chiedono ma come è possibile? Ed allora parte il solito processo mediatico. Io il problema che voglio porre è il seguente.

Se la 'ndrangheta è stata sottovalutata per intere e da intere generazioni, se è stata considerata solo come questione normale meridionale, ed ora la società tutta i conti deve saldarli, i giornalisti calabresi che ogni giorno rischiano la propria vita (perché scrivere in terra di Calabria contro la 'ndragheta è difficile, molto difficile), che vivono intimidazioni di varia natura, perché non hanno avuto la stessa solidarietà mediatica e sociale?

Perché anche loro sono solo un fenomeno naturale della 'ndrangheta e quindi, solo calabrese? E parlo di Calabria, perché parliamo di 'ndrangheta, altrimenti solleverei le stesse riflessioni per la Sicilia, penso alla vicenda di Pino Maniaci e tanti altri casi similari, ebbene l'ignorare le intimidazioni subite dai giornalisti calabresi, perché queste vengono considerate come ordinarie come eventi normali che non "fanno" più notizia, ciò altro non comporterà che la piena affermazione dell'identico processo che si è innescato con la 'ndrangheta.

Convivenza. Sottovalutare, o non parlare, o ignorare fatti gravi, gravissimi per un Paese che mira alla realizzazione piena della Democrazia, perché a parer mio in Italia vige uno stato di Democrazia imperfetta e relativa, altro non farà che rinforzare la causa di chi queste intimidazioni procura.

L'omertà, il silenzio, l'indifferenza, l'ignorare, sono elementi protetti tutti dallo stesso tetto, e questo tetto si chiama passività sociale. Quanti per esempio sono al corrente del fatto che le cosche della 'ndrangheta del crotonese hanno tentato di uccidere il collaboratore di giustizia Luigi Bonaventura mentre era in una città, che non doveva essere conosciuta da nessuno e dunque dove risiedeva sotto copertura?

Quanti sono a conoscenza della lettera di minacce inviata recentemente al giornalista Nicola Lopreiato, capo servizio della Gazzetta del Sud a Vibo Valentia? Il mittente ha un nome ed un cognome. Leone Soriano, capo dell’omonima cosca della ‘ndrangheta del vibonese. Sapete cosa ha scritto? “Invece di rompere ogni giorno con la cosca Soriano, che non esiste e non è mai esistita, pensa di più alla tua famiglia che è meglio per tutti”.

Oppure: "Questa non è per la tua macchina, ma per te. Smettila di continuare a scrivere di 'ndrangheta, segui Paolo Pollichieni e vattene pure tu". Questo messaggio invece è stato recapitato a Musolino, così come tante altre intimidazioni hanno trovato affermazione verso i giornalisti di tutte le testate giornalistiche calabresi dal Quotidiano della Calabria a Calabria Ora, dalla Gazzetta del Sud alle redazioni locali di altre testate giornalistiche.

Ciò per dire che tutti sono presi di mira. Tutti quelli che scrivono contro la 'ndrangheta. Ma ciò non è notizia. No. Almeno oltre la Calabria. Se si continua a sottovalutare questo fenomeno, se si continua a considerare come normalità l'intimidazione mafiosa nelle terre del sud, e anormalità in quelle del nord, vuol dire che tale società è proprio miope.

Ma di miopia si può anche morire. E questo dobbiamo evitarlo. Visto che anche il processo mediatico sembra aver abbandonato il sud, salvo parlare di notizie ani-denuncia, beh quelle sì che sono notizie, come l'arresto del giocatore della Vibonese per le rapine compiute nel cosentino, allora penso che in Calabria chi scrive contro la 'ndrangheta deve essere considerato come un brigante.

Un brigante che scrive per la libertà, per la conquista della libertà. Un poeta calabrese, quale Vincenzo Ammirà scriveva:

Ti vogghiu vìdari

Cu la scupetta,

cu lu cervuni,

cu la giacchetta,

cu lazzi e ‘nciocioli

‘nquantità,

o briganteju,

la ninna fa.

Sì è così che vi voglio vedere. Penna in mano, giacchetta e tanta voglia di andare oltre questa indifferenza di sistema per contrastare quella solitudine malinconica che è il male di ogni civiltà, che è il cuore di quell'indifferenza che nutre l'anima ed il corpo della 'ndrangheta.

Io mi sento brigante, un brigante emigrato per ragioni di vita, ma che vive ogni giorno guardando alla sua terra, la Calabria, e provocando il sentimento di ribellione verso chi ancora dorme, perché un giorno possa svegliarsi, aprire gli occhi ed esclamare, Calabria, mia Calabria non morirai, non morirai.

Comprendo bene lo stato d'animo che può diffondersi nella persona di chi vive il senso dell'intimidazione. Anche io come tanti altri abbiamo, come dire, dovuto fare i conti con questa situazione. Ma non è di ciò che ora voglio parlare, in questo preciso momento, semplicemente, affermo che tutti quei giornalisti che ogni giorno vivono nella propria terra questo sentimento, che quando escono dalle mura redazionali devono affrontare l'incognita di una strada che cela il dubbio della paura, devono essere sostenuti e non dimenticati.

Io non dimentico.

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.160) 14 gennaio 2012 13:17

    Come e perche’ 18 milioni di italiani meridionali si lasciano tiranneggiare e sfurttare in maniera vergognosa da una minoranza di 20.000 criminali delinquenti e’ cosa di non facile spiegazione.
     L’ indifferenza dei piu’ - che non si sentono immediatamente e direttamente minacciati - e’ parte della spiegazione di questo arcano, come pure il fatto che il fenomeno mafioso e’ sicuramente una delle forme piu’ raffinate di criminalita’ organizzata esistenti.
     Ma tutto questo ancora non basta a spiegare la continua riproduzione del fenomeno mafioso. Il cuore della questione e’- secondo Nino Di Matteo (PM della DDA di Palermo) - il rapporto mafia/politica. Solo spezzando questo rapporto sara’ possibile porre fine al fenomeno mafioso in Italia. Il recente voto sulla vicenda Cosentino ci dice che le resistenze su questo terreno sono al momento insormontabili e il movimento antimafia stenta incredibilmente a prendere coscienza di questo elementare dato.

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