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Le equilibriste, le mamme italiane

Save the Children ha diffuso il rapporto “Le equilibriste – da scommessa a investimento: maternità in Italia”, nel quale ci si occupa della situazione che attualmente contraddistingue le madri italiane. 

Le mamme oggi in Italia sono in media un po’ più avanti negli anni, 31 e mezzo alla nascita dei figli, e molto raramente sono teenagers (meno di 2.000 i figli nati da madri minorenni), ma tutte, indistintamente, condividono una condizione inequivocabile di svantaggio sociale, professionale ed economico.

Le donne nel nostro Paese sono infatti costrette a un difficile equilibrismo tra la scelta di maternità e il carico dovuto alle cure familiari, ancora molto sbilanciato sulle loro spalle e reso ancor più gravoso dalla carenza di servizi di sostegno sul territorio, facendo al tempo stesso i conti con un mercato del lavoro che le penalizza a priori in quanto donne e diventa un problema ancora più grande quando arrivano i figli.

La regione più “mother friendly” di tutte risulta essere il Trentino Alto Adige, seguita da Valle d’Aosta, Emilia Romagna, Lombardia, Toscana, Piemonte e dalle altre regioni del centro-nord, che mostrano in generale condizioni più favorevoli alla maternità, mentre la Calabria chiude in ultima posizione la speciale classifica fra le regioni italiane, ottenuta in base alle condizioni di vita delle madri, preceduta di poco da altre regioni del Sud come Puglia, Basilicata, Sicilia e Campania.

“Al di là della mappatura regionale sullo stato delle madri, con questo rapporto abbiamo anche cercato di leggere la realtà del nostro Paese dal punto di vista delle mamme.

Ne viene fuori uno spaccato dove le disparità di genere hanno ancora un impatto negativo decisivo sulla vita delle mamme. Donne che si ritrovano a svolgere, anche loro malgrado, un ruolo predominante nell’assicurare il benessere di bambini, adulti e anziani, senza alcuna retribuzione, ma pagando, al contrario, e in prima persona, un prezzo molto elevato nel mancato sviluppo personale e professionale,” ha dichiarato Raffaella Milano, direttore programmi Italia-Europa di Save the Children.

Se nel 2015 l’Italia si posiziona al 41° posto su 145 paesi nel rapporto globale sulle disparità di genere, segnando un miglioramento della condizione femminile rispetto a istruzione e presenza nelle istituzioni, la nostra posizione crolla al 111° posto se si prende in considerazione solo l’accesso delle donne al mercato del lavoro.

Un dato particolarmente negativo che trova una spiegazione nell’impegno preponderante, in particolare delle donne madri, nel lavoro di cura familiare.

Come evidenzia il rapporto di Save the Children, la pressione del lavoro di cura familiare riguarda in Italia circa 8 milioni di mamme tra i 25 e 64 anni che convivono con figli under 15 o under 25 ma ancora dipendenti economicamente da loro, ma si concentra maggiormente su quelle con almeno un figlio sotto i 5 anni (2,7 milioni di mamme) o tra i 6 e gli 11 anni (2 milioni).

L’aumento nel corso degli ultimi vent’anni delle separazioni (+70,7%) e dei divorzi (+100%), inoltre, ha moltiplicato il carico di cura ma in misura molto diversa tra uomini e donne, in sfavore di queste ultime: quasi una mamma su due (45,5%) tra i 35 e i 54 anni separata o divorziata vive da sola con i figli contro l’8,4% degli uomini.

Il carico preponderante di cure familiari per le mamme si intreccia con un mercato del lavoro che in Italia ne taglia fuori metà tra i 25 e i 64 anni, mentre solo una su tre in Europa trova le porte del lavoro chiuse (32,1%).

L’accesso al lavoro delle mamme in Italia si riduce ulteriormente se aumenta il numero dei figli: tra i 25 e i 49 anni il tasso di occupazione materna con 1 figlio è pari al 58,6%, ma si ferma a 54,2% se i figli sono 2 e non supera il 40,7% con 3 o più figli.

Anche quando lavora, 1 mamma su 3 si ritrova a fare ricorso al part-time, percentuale che cresce con il numero dei figli.

L’8,7% delle mamme che lavora o ha lavorato, poi, ha sperimentato un licenziamento forzato in caso di gravidanza, e la percentuale delle dimissioni in bianco sale ulteriormente se si tratta delle donne più giovani.

L’accesso al mercato del lavoro delle mamme dipende molto dalla possibilità di trovare un equilibrio soddisfacente tra la loro vita personale e quella lavorativa.

Su questa sfida grava fortemente la diversa distribuzione del lavoro familiare tra uomini e donne.

Se si considera l’uso della risorsa più preziosa, il tempo, le donne italiane over15 dedicano al lavoro familiare non retribuito circa 5 ore e 9 minuti al giorno, contro le 2 ore e 22 minuti degli uomini, mentre in Norvegia, ad esempio, dove l’uguaglianza di genere è maggiore, l’impegno femminile in famiglia scende a 3 ore e 31 minuti.

Guardandosi intorno in cerca di sostegno, le mamme con un figlio dagli 0 ai 3 anni trovano per lo più l’aiuto dei nonni, nel 51,4% dei casi, quello di un asilo nido, 38,8%, di una colf, baby-sitter o badante (4,2%) o di altri familiari (2,5%), e solo nel 3,3% dei casi quello del compagno o del marito.

Inoltre, bisogna considerare che il 29,7% delle mamme lavoratrici che hanno un figlio 0-3 anni che non frequenta l’asilo nido desidererebbero che non fosse così, e indicano come maggiori ostacoli la retta tropo cara (50,2%) o la mancanza di posti (11,8%).

La presa in carico tra 0-3 anni degli asili nido e dei servizi integrativi e innovativi per la prima infanzia in Italia è infatti ferma al 13%, con il picco positivo in Emilia Romagna (26,8%) e il dato peggiore in Calabria (2,1%).

Uno scenario desolante che cambia però radicalmente per i bambini dai 4 ai 5 anni, che nel 95,1% dei casi frequentano la scuola dell’infanzia.

“Per sostenere concretamente le mamme in Italia – ha sottolineato Raffaela Milano – è necessario intervenire sia sul piano dei servizi che sul piano del lavoro.

E’ fondamentale rafforzare la rete dei servizi per la prima infanzia, in alcune aree del Paese oggi di fatto inesistente e, allo stesso tempo, occorre favorire e incentivare un cambiamento nel mondo del lavoro, sia pubblico che privato, affinché non penalizzi più, ma anzi valorizzi, le donne che sono mamme e che lavorano.

Alcuni segnali interessanti, anche se ancora limitati, vengono dal settore privato, la scelta operata dal 37% delle aziende italiane che hanno flessibilizzato l’orario di lavoro, o il 17,5% che ha attivato asili nido, servizi sociali, di assistenza, ricreativi o di sostegno con benefici riscontrabili su produttività e qualità del lavoro”.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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