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Le armi italiane uccidono in tutto il mondo. Pecunia non olet?

Sono stati diffusi dalla Rete italiana per il disarmo alcuni dati sulle esportazioni di armi italiane, in occasione del 25° anniversario dell’approvazione della Legge 185 che regolamenta l’export militare del nostro Paese.

Il dato più importante è rappresentato dal fatto che ci sono stati 54 miliardi di euro di autorizzazioni e 36 miliardi di controvalore per effettive consegne di sistemi d’arma, venduti a 123 paesi. Pertanto si può sostenere che la legge 185, uno strumento avanzato di supervisione e regolazione dell’export militare, ha perso negli ultimi anni efficacia e capacità di controllo.

I principi della legge del 1990 prevedono il divieto di esportazione di armamenti verso: Paesi in stato di conflitto armato, Paesi la cui politica contrasti con l’articolo 11 della Costituzione italiana, Paesi sotto embargo totale o parziale delle forniture belliche da parte dell’Onu o dell’Ue, Paesi responsabili di accertate gravi violazioni alle convenzioni sui diritti umani, Paesi che, ricevendo aiuti dall’Italia, destinino al proprio bilancio militare risorse eccedenti le esigenze di difesa del paese.

Vengono inoltre impedite le vendite di armi in contrasto con gli impegni internazionali dell’Italia, i fondamentali interessi della sicurezza dello Stato e della lotta contro il terrorismo, il mantenimento di buone relazioni con altri Paesi e quando manchino adeguate garanzie sulla definitiva destinazione dei materiali (le cosiddette triangolazioni).

Quindi la legge è sicuramente molto avanzata ed ha costituito anche il modello di base per alcune regolamentazioni a livello internazionale.

E, in effetti, nei primi anni di applicazione, i principi innovativi della legge e il controllo, esercitato anche tramite una relazione al Parlamento da parte del Governo, hanno permesso la diminuzione delle vendite verso Paesi con situazione problematica o in conflitto più o meno conclamato. Un trend che purtroppo si sta modificando in maniera netta negli ultimi anni.

“I numeri non mentono – ha sottolineato Giorgio Beretta analista di Opal Brescia – e se nel quinquennio 2005-2009 è stata l’Unione europea ad essere l’area di maggior vendita delle armi italiane, in quello successivo il primato è invece andato al Medio Oriente e al Nord Africa. Regioni tra le più turbolente del globo”.

A guidare la classifica dei Paesi destinatari dei sistemi d’arma “made in Italy” ci sono gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, seguiti a ruota da Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. Vengono poi la Germania, la Turchia, la Francia e la Spagna; completano la Top 12 Paesi problematici (dal punto di vista dei conflitti e delle turbolenze) come Malesia, Algeria, India e Pakistan.

“Ma se ci limitiamo agli ultimi cinque anni – ha concluso Beretta – ai primi posti ci sono Algeria, Arabia Saudita ed Emirati Arabi, con il solo inserimento degli onnipresenti Stati Uniti al terzo posto. E’ chiaro dunque in che direzione stiano andando gli affari dell’esportazione militare italiana”.

La Rete per il disarmo ha premuto per anni sul Parlamento affinché riprendesse la discussione sul tema delle vendite di armi italiane all’estero, cosa avvenuta finalmente negli scorsi mesi dopo quasi otto anni di stop.

L’intenzione ora è quella di continuare una forte pressione sul Governo.

La Rete ha infatti scritto nei giorni scorsi, come fatto già numerose volte in passato, al presidente del Consiglio Renzi e al ministro degli Esteri Gentiloni per chiedere una maggiore attenzione ed un’inversione di tendenza rispetto agli ultimi anni, sia dal punto di vista del controllo sia dal punto di vista delle decisioni sulla destinazione delle armi italiane.

E infatti Francesco Vignarca, coordinatore della Rete, ha giustamente sottolineato: “Non possiamo lamentarci che il Mediterraneo ed il Medio Oriente siano una polveriera di conflitti quando siamo anche noi responsabili di molte delle forniture di armi, vera benzina che poi va alimentare il fuoco delle guerre”.

A me sembra che le richieste rivolte al Governo da parte della Rete per il disarmo, a cui aderiscono diverse organizzazioni, tra le quali Acli, Arci, la Fim-Cisl, la Fiom-Cgil, gruppo Abele, Libera, debbano essere accolte.

Ma per il governo italiano, relativamente alla vendita di armi ai Paesi esteri, pecunia non olet?

 

Foto: Brian Rinker/Flickr

Questo articolo è stato pubblicato qui

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