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Lavoro: la raccomandazione vince ancora sul curriculum

In tempi di crisi, per reclutare personale le imprese si basano sulle conoscenze, affidandosi al cosiddetto canale informale. Così già lo scorso anno la quota delle aziende che ha fatto ricorso a relazioni dirette o a segnalazioni di conoscenti è di oltre sei su dieci (61,1%), mentre l'anno precedente non arrivava alla soglia del cinquanta per cento. E nel Mezzogiorno la percentuale sfiora addirittura il 70%.

Le altre strade per accedere al mondo del lavoro seguono a grande distanza, con poco più di due imprese su dieci che per assumere vanno a guardare i curriculum (24,6%). E ancor più limitato è l'uso di tutte le altre forme, dagli annunci sulla stampa ai centri per l'impiego.

A tracciare la mappa è l'indagine Excelsior 2011, realizzata da Unioncamere e ministero del Lavoro. La scelta dei datori di lavoro ricade nella maggioranza dei casi, quindi, su persone che già conoscono: ovviamente non si deve solo “pensar male” e credere che siano tutte raccomandazioni: il canale informale si nutre principalmente di precedenti rapporti professionali, e solo in secondo luogo di segnalazioni da parte di conoscenti e fornitori (che possono anche avere il carattere di semplici referenze piuttosto che di “spintarelle”). Certo, però, si tratta di un primato che può sembrare strano viste tutte le tecnologie oggi a disposizione, a cominciare da internet, e con tutti i tipi di specializzazioni che esistono. Probabilmente i dati scontano un effetto crisi non trascurabile. Secondo il rapporto Excelsior, infatti, “il clima economico ancora incerto spinge evidentemente le imprese alla massima cautela nella selezione di nuovi candidati: la conoscenza diretta, magari avvenuta nell'ambito di un precedente periodo di lavoro o di stage, e il rapporto di fiducia da essa scaturito diventano quindi premianti ai fini dell'assunzione”.

Gli strumenti interni, le banche dati costruite dalle stesse aziende sulla base dei curriculum raccolti nel tempo rappresentano, invece, la seconda scelta: nelle preferenze seguono da lontano il canale informale, anche se la quota risulta in leggero aumento rispetto all'anno precedente (dal 21,5% al 24,6%). Perdono invece terreno le modalità di reclutamento tradizionali (annunci su quotidiani e riviste specializzate), considerate solo nel 2,3% dei casi. Sono pochissime e in diminuzione anche le aziende che utilizzano intermediatori istituzionali, come società di lavoro interinale, di selezione (5,7%), e quelle che si affidano a operatori istituzionali, ovvero ai centri per l'impiego (2,9%). Ma se si guarda alla dimensione d'impresa il quadro cambia: dopo i 50 dipendenti le aziende iniziano a fare più affidamento sulle loro banche dati, a basarsi sui curriculum.

Ecco che, quindi, più le aziende sono grandi più la conoscenza diretta o tramite conoscenti del candidato perde importanza. Basti pensare che nelle realtà con più di 500 dipendenti il ricorso al canale informale scende al 10,2%, mentre l'utilizzo di strumenti interni sale al 48,9%. Il fatto che le imprese italiane prediligano, nel decidere le assunzioni, le conoscenze personali piuttosto che i curriculum, il merito insomma, dipende certamente dalle loro dimensioni prevalenti: è noto che la dimensione media delle aziende è in Italia nettamente inferiore rispetto a quella che contraddistingue le aziende degli altri paesi sviluppati. Lo stesso rapporto Excelsior ci dice che le imprese più grandi si comportano diversamente. Comunque al di là delle dimensioni, io credo che i criteri scelti, per le assunzioni, dalle imprese dipendano in primo luogo dal familismo che da tempi remoti svolge un ruolo predominante nella società italiana, fino a considerarlo, da parte di diversi osservatori, uno dei suoi tratti più caratteristici. Infine è bene rilevare che i criteri prevalentemente adottati dalle imprese private non sembrano quindi discostarsi di molto da quelli utilizzati nel settore pubblico, troppo spesso e affrettatamente ritenuto come la sola componente della nostra società dove il merito, o meglio la meritocrazia, non viene tenuto in alcuna considerazione. Il rapporto Excelsior dimostra che il settore privato, da questo punto di vista, non è poi tanto diverso, tutt’altro.

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