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La trasparenza valutativa nella scuola

In Italia le prove INVALSI illuminano il processo di insegnamento.

La trasparenza valutativa nella scuola

Nel panorama europeo, la trasparenza delle procedure e dei criteri sui quali si fonda la valutazione degli apprendimenti in una scuola o accountability, da un lato migliora la qualità del sistema, dall’altro ne è indicatore dello stato di salute su due piani: primo, le scelte a livello dirigenziale, secondo, la qualità delle scelte dirigenziali stesse.

L’accountability delinea chiaramente il livello medio di professionalità e competenza specifica di coloro che svolgono un ruolo dirigenziale nel contesto scolastico: è innegabile infatti che, se la funzione della scuola è produrre apprendimenti all’altezza delle sfide della complessità del mondo contemporaneo, se gli apprendimenti stessi sono conseguenza del processo di insegnamento che sta loro a monte, ne discende che le scelte di politica scolastica, a tutti i livelli, ma soprattutto ai livelli più alti, devono orientarsi verso la valutazione della qualità del processo di insegnamento/apprendimento stesso e chiedersi: risponde alle esigenze che una società complessa, europea, richiede? Tale scelta ancora oggi purtroppo, specialmente in Italia, per interessata miopia, non è stata compiuta. Essa sottende un’attenzione più alla formazione delle giovani generazioni del Paese, formazione impegnativa se adeguata alle sfide della complessità ma è anche una scelta di politica scolastica ad alto interesse, perché in grado di garantire ai futuri cittadini stessi, grazie alla qualità delle conoscenze e all’attitudine ad imparare ad incrementarle sempre di più, un livello socio-economico soddisfacente in futuro. Ma finora il sistema scolastico, dal punto di vista dell’accountability, è primordiale: può benissimo essere rappresentato come un mega-ufficio di collocamento, comodo serbatotoio di voti in campagna elettorale. E così tuttora l’ attenzione alla trasparenza della valutazione nella scuola è gattopardesca. Efficace nelle lezioni universitarie di didattica generale, efficace a scuola sulla carta, perché tuttora affidata alla sia pur ammirevole e sporadica iniziativa donchisciottesca di qualche docente di buona volontà, mentre richiede un investimento sinergico e di alto livello di energie, in termini soprattutto di risorse umane professionali, affinché il monitoraggio dei dati consenta non solo la lettura dei dati stessi sulla valutazione nell’ottica del miglioramento continuo dell’insegnamento, ma anche possa introdurre finalmente, e non semplicemente nel dettato legislativo del Regolamento dell’Autonomia, la ricerca nella scuola, garanzia di innovazione finalizzata al miglioramento; una ricerca, insomma, messa in condizione di tradurre in applicazione sul campo gli orientamenti teorici in ambito valutativo.

Oggi nelle scuole italiane la ricerca didattica è o pressoché ignorata, oppure difficilmente attendibile sul piano scientifico, perché disorganicamente condotta.: l’indifferenza a livello di dirigenza ha fatto sì che manchino persino gli spazi dove concretizzarla. Essa richiede l’aggiornamento e la formazione dirigente e docente, che ancora oggi sono abbandonati a se stessi. Quante scuole destinano risorse per la partecipazione a convegni internazionali dei loro docenti? Il fondo di istituto in casi non sporadici, purtroppo, viene destinato, per il 50%, al pagamento, ad alcuni docenti, delle ore di supplenza. E l’aggiornamento? Adeguato a siffatto contesto, è inutile sul piano applicativo nella didattica quotidiana. Esso è il rinforzo della ricerca nella scuola: disorganica questa, disorganico quello.

Verificare l’efficacia dei sistemi di accountability è doveroso (cfr. E. A. Hanushek e M. E. Raymond, Lessons and limits of state acontability systems, “Taking Account of Accountability: Assessing Policy and Politics”, Hoover Institution, Standford University, Harvard University, June 9-11, 2002). E’ la fondante garanzia per i cittadini che i loro figli frequentano una scuola all’altezza del compito che dichiara di svolgere.

Ma dove potrebbe sfociare la prassi della valutazione della qualità del processo di insegnamento/apprendimento nella scuola di 2°? Se attendibile e equa, l’accountability diventa utile: mette in moto la mobilità sociale, con grande vantaggio per il futuro del Paese.

Ancora oggi nella scuola media di 2° grado la valutazione è ad un tempo strumento di potere e araba fenice. Anzi, proprio perché strumento di potere, è un’araba fenice per docenti, alunni e famiglie. Per i primi, è spesso motivo di ansia o contenzioso o strumento per esercitare potere. Per i secondi, è una precoce educazione alla sottomissione alla legge del “chi è gerarchicamente superiore ha sempre ragione”, per le famiglie, inoltre, è l’aspetto che incide sulle loro relazioni con i figli e con i docenti stessi. Ma oggi la cultura della trasparenza delle scelte dei criteri di valutazione nella scuola, ancora primordiale in Italia, pressa alle porte delle aule vecchie e chiuse, spinta dal mondo che sta fuori dalla scuola e da da tutt’altra parte.

Dietro il paravento trasparente del “non si possono valutare gli insegnamenti”, si sono celate finora le disfunzioni di ogni scuola. Ma oggi la docimologia fornisce strumenti adeguati per far entrare l’accountability in ogni scuola.

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