• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Attualità > Cronaca > La televisione del dolore e i cronisti che si fanno sbirri

La televisione del dolore e i cronisti che si fanno sbirri

Ventinove anni fa venne sdoganata la tv del dolore nel nostro Paese. Temiamo, anzi, di aver fatto scuola in quell’occasione. Il 13 giugno del 1981, alle 7 del mattino, milioni di telespettatori italiani assistirono impotenti alla morte di Alfredino Rampi. Era la tragedia di Vermicino.

La Rai trasmetteva in diretta da ben 18 ore a reti unificate la lenta agonia del povero bambino, precipitato alle 19 di due giorni prima in un pozzo artesiano di soli 30 cm di diametro, ma profondo ben 30 metri, lasciato assurdamente aperto alle porte di Roma. Quello è stato l’inizio. In realtà qualche anticipazione l’aveva già data Emilio Fede qualche anno prima, a metà degli anni ’60, sul Monte Bianco, nel corso di un tentativo di recupero di un folto numero di alpinisti bloccati sul pilone centrale della montagna più alta d’Europa. Fra di loro c’era anche l’alpinista italiano Walter Bonatti che accusò poi il giornalista allora in Rai di aver fatto tardare i soccorsi diffondendo informazioni errate. La cosa si fermò lì. Nonostante i morti, tanti, in parete.

Ci stupiamo? Ricordiamoci che abbiamo avuto perfino un ministro che rilasciava dichiarazioni in diretta sull’esecuzione di un nostro connazionale rapito in Iraq. E i familiari che apprendevano dalla televisione la notizia che doveva essere data loro, invece, privatamente da qualcuno dell’unità di crisi della Farnesina. E poi, come è possibile dimenticare i plastici della casa di Cogne da Bruno Vespa?

Lo storico Giovanni De Luna spiega come la diretta di Vermicino sia il primo mix tra generi televisivi differenti, in particolare tra informazione e fiction. la commistione tra il bisogno di conoscere legato all’informazione e la ricerca della partecipazione emotiva personale della fiction. Da qui la televisione del dolore. Con la sua solida base produttiva e finanziaria. Il dolore fa audience, fa aumentare a dismisura il valore commerciale (in spazi pubblicitari) di una trasmissione. Nessuna mediazione, nessuna delicatezza. Quello che serve è la lacrima, lo strazio, lo scoop dato in diretta. La cronaca nera che diventa un reality show, ma senza la finzione del reality commerciale. La televisione del dolore costa poco e produce tanto denaro. E ha poco a che fare con la deontologia della professione giornalistica.

Si potrebbero fare molti esempi di questa televisione straziata e straziante. Ma quello di “Chi l’ha visto?” è sempre il più calzante. Da sempre “la lacrima in diretta” è stata cercata spasmodicamante. In tutte le sue edizioni. Come la personalizzazione della “ricerca”, ma voyeristica, della verità. Negli anni, e sono tanti gli anni di questa che è una delle trasmissioni più longeve della Rai dopo la Domenica sportiva, la ricerca della novità, di spingere il limite sempre un po’ più avanti, si è trasformata in ansia. La scorsa stagione, tanto per fare un esempio, erano emersi alcuni segnali abbastanza inquietanti durante il “caso Claps” a Potenza, con una troupe della trasmissione televisiva messa alle calcagna, quasi un pedinamento, di un collega di un giornale locale reo di non aver sposato la “tesi” della trasmissione sui retroscena di quell’omicidio. Una “tesi” che era visibilmente frutto di un rapporto confidenziale con alcuni ambienti giudiziari, casomai in conflitto con altri. Ambienti che in quell’occasione, e anche in altre, hanno consentito l’accesso a informazioni. Ma anche a diventare parte di un gioco che nulla a che fare con il giornalismo.

Questo è avvenuto anche ieri. In diretta. Affido la ricostruzione della puntata andata in onda ieri sera di Chi l’ha visto? a il Corriere della sera.

La mamma di Sarah, Concetta Serrano, è in collegamento da Avetrana con la trasmissioneChi l’ha visto? quando in studio arriva la notizia del possibile ritrovamento della ragazza. Le parole corrono veloci ma due alla fine rimbalzano con insistenza: «corpo» e «ritrovato». E quello che va in onda è qualcosa di più di una diretta del dolore. «Ha capito cosa sta succedendo?», chiede con concitazione la conduttrice Federica Sciarelli alla donna. «Se vuole interrompere il collegamento lo può fare in ogni momento». E ancora: «Chiami i carabinieri, si metta in contatto con gli investigatori». Ma mamma Concetta resta impietrita, sotto choc, pare non capire quello che le sta succedendo attorno. Non parla, non piange, come ha fatto da quando la sua Sarah è sparita nel nulla.

Poi risponde al telefono e con un filo di voce: «Dicono che hanno trovato un corpo». Mamma Concetta ha capito. Ma non c’è alcuna interruzione, la trasmissione continua. Dalla casa di Avetrana teatro della diretta, che è la casa dello zio Michele interrogato nel pomeriggio, arriva il pianto di Sabrina, la cugina più piccola di Sarah. Arriva la doppia angoscia di Cosima, zia della ragazza scomparsa ma anche moglie di Michele. Quindi arrivano le parole dell’avvocato della signora Serrano. Il legale si siede al suo fianco, prova a proteggere il suo dolore, a separare quello che è spettacolo dal dramma personale. Poi dice quello che tutti, dentro quelle quattro mura, pensano: «Speriamo sia una notizia falsa». Ma le notizie continuano ad arrivare in studio: collegamenti al condizionale, pezzi di agenzia, titoli delle edizioni online dei giornali locali che confermano il ritrovamento per poi smentirlo un istante dopo.

E così come arrivano, senza nessun filtro, raggiungono mamma Concetta giocando a yo-yo con il suo cuore già straziato. Le telecamere rimbalzano dallo studio al suo volto ma l’immagine che restituiscono è sempre la stessa: quella di una madre che si estranea da tutto per sfuggire a qualcosa di mostruoso che la investe senza rispettare i tempi del dolore. «È una notizia terribile, di grande imbarazzo, che non vorremmo mai dover confermare», ripete la conduttrice. Ma la trasmissione continua: «I carabinieri starebbero cercando il cadavere sulla base delle dichiarazioni delle persone interrogate». Si fa l’elenco di quelle persone: Valentina, la cugina più grande di Sarah, la zia Cosima, lo zio Michele. «Se qualcuno sa qualcosa, ci chiami. Se qualcuno al comando provinciale dei carabinieri vuole, si metta in contatto con noi». L’avvocato di famiglia lascia cadere ogni domanda: «Non mi sento di fare dichiarazioni prima di avere comunicazioni ufficiali». In sottofondo si sente la voce di mamma Concetta: «Mio cognato è innocente». Ma dopo 42 giorni le notizie che arrivano in studio lasciano intravedere un finale terribile per questo giallo. La conduttrice diChi l’ha visto? chiede a mamma Concetta se non preferisca a questo punto allontanarsi da casa. E lei: «È meglio». La trasmissione continua.

E continua addirittura con la richiesta insistente della conduttrice a una sua inviata di intervistare la cugina di Sarah per sapere, da questa ragazza in lacrime distrutta in un’altra stanza, se sapeva che il padre era l’assassino della ragazza. Ormai siamo arrivati al paradosso di una trasmissione televisiva che diventa pezzo dell’autorità giudiziaria? Di giornalisti che si fanno carabinieri, digos, pm? Che roba è questa? Certamente non giornalismo. Certamente non informazione. Quello che è andato in diretta ieri sul terzo canale della televisione di Stato è un bruttissimo capitolo per il giornalismo e la televisione italiani.


VIDEO: Così la mamma di Sarah Scazzi ha appreso la notizia della morte di sua figlia

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox







Palmares