• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Attualità > Cultura > La strada di casa, Corrida #28

La strada di casa, Corrida #28

L’unico racconto pubblicato a puntate sulla rete che è un po’ come la vita: si sa quando e come inizia, ma non si sa mai bene dove vada a finire.

episodi precedenti

.28

E’ qualche tempo che non scrivo qualcosa, lo so. I pochi lettori, gli appassionati delle mie vicende si saranno chiesti cosa sia mai successo. Un avvenimento importante, un malore, un colpo di fortuna. Niente di tutto questo.
E’ semplicemente che non riesco ad andare avanti, non riesco a tradurre in parole quello che segue.

Sono stato molto tentato di lasciare un’ultima pagina e dire "continuate voi, come meglio volete, che la fantasia spesso e volentieri è migliore della realtà". Qualche anno fa, me ne stavo in passeggiata, lungo il mare, ed osservavo un pittore fare i ritratti a carboncino a pagamento. Si avvicinò un uomo, silenzioso, un po’ timoroso, e chiese un ritratto per suo figlio, che teneva in collo. Il fatto è che il bambino aveva subito qualche doloroso incidente ed il suo viso risultava marcatamente deformato nella parte nasale e circostante.
Il pittore accettò subito, senza ritrosia.
Il viso che tratteggiò a sanguigna e carboncino era bellissimo, angelico, il volto stesso dell’innocenza, dell’infanzia, senza alcuna traccia di imperfezione. Il bambino ne fu entusiasta ed il padre si ritirò con un ampio, ma discreto sorriso, e una lauta mancia oltre il compenso dovuto.
Chiesi al pittore come mai non avesse ripreso la verità, la realtà, non era forse più semplice, più giusto? Dicendo questo pensai a quanto avrebbe potuto amare od odiare negli anni a seguire quel ritratto il bambino stesso.
Rispose che la vita già è brutta di per sè, a niente valgono la fantasia ed un disegno se non si può nemmeno abbellire un poco il mondo.

Vi racconto questo proprio perchè non riesco a descrivere, almeno adesso, quello che seguirà nei prossimi capitoli, per cui, lavorerò un poco di fantasia, per abbellire una vita che ricordo a chiare lettere, per dargli un tocco poetico, che magari non avrebbe avuto.


Continuai a camminare per giorni e giorni, che sembrarono anni o decenni. Le mie gambe si erano abituate allo sforzo costante e non mi impedivano nessun tragitto. Presi l’abitudine di fermarmi all’alba e al tramonto, per osservare il sole che illuminava la strada percorsa, erano momenti intimi, in cui sentivo quasi un senso di soddisfazione per me stesso. Era come un andare a letto o svegliarsi consci di aver fatto qualcosa, di aver fatto fruttare la giornata. Ognuno cerca di dare un senso alla propria vita, chi giocando con il potere, chi girovagando di letto in letto per piaceri frugali, io, semplicemente camminavo.
Ed andò così fino a che non sentii una strana sensazione addosso, di déjà vu.

Odore di porto, di camino, di campagna, di fatica quotidiana.

La vita, il destino, il vagabondare, mi avevano riportato dove tutto, almeno in Spagna, era iniziato, dove per la prima volta un bacio di ramon mi aveva accolto, dove per la prima volta avevo visto un toro.
Camminai lentamente, a passi misurati, in un lieve intercedere che sapeva di viaggio a ritroso, nel tempo, sulle proprie orme. E lo vidi, apparire tra i ciuffi d’erba, addormentato vicino ad un abberveratoio in pietra, un cucciolo, un piccolo toro. Marchiato a fuoco come gli altri, aveva lo stesso portamento regale di Ashton secondo, ricordava il suo fiero e trascendente comportamento.
Mi avvicinai.
Lo accarezzai, senza paura, senza il timore che qualcuno se ne potesse accorgere, e decifrai quello che dovevo fare, per istinto, o per destino.
Quel piccolo toro, forse figlio di Ashton secondo, forse no, non importava, sarebbe venuto con me.
Guardai il viottolo di ciottoli polveroso vicino; la strada di casa era ancora tutta da battere.

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox







Palmares