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La salute costa cara: gli italiani rinunciano a curarsi

In Italia la salute costa cara e chi ha bisogno di cure è chiamato sempre più a mettere mano al portafoglio. Chi non ha la possibilità economica per far fronte alle spese sanitarie ha due alternative: rinunciare a curarsi (scelta fatta dal 46% delle famiglie italiane) oppure indebitarsi (13%).

Questi e altri dati sono contenuti nell’ultima indagine campionaria dell’associazione Altroconsumo, con la quale sono state intervistate 1.685 famiglie. La percentuale di famiglie, tra quelle con un reddito inferiore a 1.550 euro al mese, che rinuncia alle cure necessarie sale al 61%.

Le regioni in cui questo fenomeno è più evidente sono Campania (73%), Calabria (69%) e Lazio (64%). Il 46% degli italiani, come già rilevato, rinuncia ad almeno una cura all’anno. La percentuale si abbassa tra coloro che dispongono di un’assicurazione sanitaria, 33%. Tra le cure più sacrificate quelle odontoiatriche (38%), quelle oftalmiche (22%), la riabilitazione fisica (15%) e quelle ortopediche (11%). La spesa odontoiatrica è la spesa sanitaria che pesa di più sul bilancio familiare: il 65% ha sostenuto almeno una spesa per i denti nel corso dell’anno, al costo medio di ben 1.385 euro.

Sono circa 4 su 10 gli italiani che rinunciano a curare o a prevenire i problemi ai denti a causa delle difficoltà economiche. Inoltre, la riabilitazione ha fatto sborsare in media 540 euro (a un italiano su cinque) e lo stesso vale per le malattie croniche. Un italiano su due, invece, ha avuto bisogno di curare la propria vista con un spesa media di 440 euro. Il 20% ha speso in media 430 euro per le cure ortopediche e 400 euro di visite specialistiche.

Come può essere modificata questa situazione? In primo luogo, attuando una politica economica che consenta una crescita consistente del reddito degli italiani. Poi, si potrebbe destinare una maggiore quota dei fondi pubblici a disposizione per la sanità, per ridurre le spese a carico di quanti devono curarsi. Per il momento sembra improponibile aumentare l’ammontare totale delle risorse finanziarie per la sanità pubblica.

Potrebbe essere più fattibile accrescere quella quota, di cui sopra, se però si riuscirà una volta per tutte a ridurre considerevolmente i notevoli sprechi che ancora si annidano nell’ambito della sanità pubblica.

E non è affatto detto che si riducano gli sprechi con gli interventi che dovrebbero essere previsti in attuazione della nuova legge di stabilità, quelli tendenti ad eliminare gli esami clinici “inappropriati”, perché non necessariamente tutti questi esami possono essere considerati inutili.

(Foto: Torange)

Questo articolo è stato pubblicato qui

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