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La rivoluzione perduta dei giovani egiziani

In Egitto si è recentemente tenuto il primo turno delle elezioni presidenziali. I risultati si sono rivelati deludenti per quanti pensavano che potesse divenire presidente un legittimo rappresentante del movimento che fu protagonista della caduta del regime guidato da Mubarak. Quanto avvenuto viene esaminato in un articolo di Cecilia Di Mario pubblicato su www.imille.org.

Nell’articolo citato si può leggere tra l’altro:

“Non sarebbe dovuta andare in questo modo.

I giovani egiziani sentono di aver combattuto per tornare al punto di partenza, quando al grido di ‘Né poliziesco, né religioso, civile, civile’ si erano riversati in Piazza Tahrir per chiedere la fine di un regime che li aveva oppressi per trent’anni. Un regime di censura e repressione politica.

Giovani scesi in piazza per rivendicare il loro diritto ad essere ascoltati, a farsi soggetti della Storia e non più oggetti nelle mani di un governo corrotto.

Era il 25 gennaio 2011. A poco più di un anno dall’inizio della ‘primavera egiziana’ lo scenario di fronte al quale ci troviamo è completamente diverso.

I risultati ufficiali del primo turno delle elezioni presidenziali, che si sono svolte tra il 24 e il 25 maggio 2012, decretano che i due candidati ad aver ottenuto il maggior numero di consensi sono Ahmed Shafiq e Mohammed Morsi.

Il primo, già ministro dell’Aviazione civile durante il regime di Mubarak, è stato nominato Premier nel gennaio dello scorso anno in piena rivoluzione. Shafiq è amico personale di Mubarak e ha incentrato la sua campagna politica sulla necessità di riportare lo stato egiziano entro un clima di stabilità e rigore…

Il secondo candidato per la presidenza è Mohammed Morsi, che ha riportato un risultato del 24,8 %, un dato superiore dell’1% a quello di Shafiq, e si era posto alla leadership di Libertà e Giustizia (il partito d’impianto islamista de ‘I fratelli Musulmani’) all’indomani dello scoppio delle rivoluzioni in Piazza Tahrir. 

Promette una revisione degli accordi di Camp David per assicurare ai palestinesi uno stato con Gerusalemme capitale e asserisce con convinzione che ‘L’islam è la soluzione’.

L’ondata di rivoluzioni che ha posto fine ai regimi autoritari e corrotti di Tunisia, Egitto e Libia ha avuto inizio con il sacrificio di Mohammed Buazizi… 

Motivati dal gesto coraggioso e disperato del giovane, uomini e donne affiancati in prima linea si sono scontrati contro i poteri forti per la legittimazione di uno Stato diverso. 

Se la fioritura della primavera araba sembra aver portato i suoi frutti in Tunisia, lo scenario egiziano è completamente diverso.

Qui siamo di fronte ad una ‘primavera non germogliata’, come affermano alcuni giovani egiziani ad un anno dall’inizio della rivolta.

In Tunisia le condizioni per una svolta democratica della situazione politica, seppure nelle difficoltà intrinseche del paese, sembrano essersi create.

Questo perché la Tunisia è uno Stato piccolo e con un tasso di alfabetizzazione molto maggiore rispetto a quello della popolazione egiziana. 

L’Egitto è uno Stato differente. Qui i giovani di piazza Tahrir hanno dato vita ad un movimento senza leader e quindi incapace di affermarsi dinnanzi alla forza dei militari, che in poco tempo sono diventati, accanto ai movimenti islamisti, i protagonisti della scena.

‘Non ci faremo rubare la rivoluzione’ gridavano in coro i giovani d’Egitto nel novembre del 2011, scagliandosi contro i militari accusati di essere violenti e autoritari quanto il vecchio regime.

I due avversari della rivoluzione egiziana sono i fondamentalisti islamici e l’esercito.

L’estremismo islamico, come spiega l’islamista egiziano Samir Kahlil Samir, è un pericolo reale; in questi anni ‘I fratelli musulmani’ si sono legittimati agli occhi della popolazione come un movimento capace di garantire un sistema di welfare sociale, altrimenti negato dallo stato. Il voto per l’Islam simboleggia, per alcuni, anche un voto contro i valori occidentali e le continue ingerenze straniere…

L’esercito è il baluardo dell’ancien régime; i militari, che detengono il controllo delle finanze dello stato da sessant’anni, sono tuttora in parte legati al vecchio regime, dal quale hanno ricevuto grandi benefici.

C’è quindi da chiedersi in che modo si possa essere arrivati a questo punto. Ora che a contendersi la presidenza egiziana nel ballottaggio che si svolgerà il 16 e 17 giugno sono un islamista ed un esponente del vecchio regime.

Se, come già detto, ‘I fratelli musulmani’ si sono assicurati la loro corsa nel ballottaggio grazie al sistema assistenziale che sono stati capaci di costruire in questi anni, i sostenitori di Shafiq sono probabilmente uomini e donne spaventati dalla rivoluzione, dalla continua instabilità, che vedono nel ritorno al vecchio regime una sicurezza per la propria esistenza…”.

Quanto sta avvenendo in Egitto dimostra che non sono sufficienti le manifestazioni, seppur importanti, per realizzare un vero e duraturo cambiamento nel sistema politico di un determinato paese, soprattutto se nel paese in questione per molti anni ha dominato un regime fortemente repressivo e antidemocratico. E’ auspicabile comunque che nei prossimi anni quei giovani che adesso sono stati oggettivamente sconfitti possano ottenere una rivincita e guidare un reale processo democratico che muti radicalmente, come necessario, la situazione in cui si trova ancora l’Egitto.

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