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La riforma dei giudici (I Parte)

Riforma, riforma, la parola che è diventata mantra della politica italiana da quasi vent'anni a questa parte è tornata ostinatamente a ronzare nelle orecchie degli italiani in queste ultime settimane. E per una cosa estremamente importante, la Giustizia. A sentire il Premier e il suo compare Angelino Alfano, che della Giustizia è pure il Ministro, sembrerebbe una cosa grandiosa. Ma prima di iniziare a raccontare le eroiche imprese del duetto delle Giuste meraviglie, ecco una piccola parentesi, per toglierci un sassolino dalla scarpa e un pesetto dalla coscienza: il nostro ministro della Giustizia è infatti protagonista di un ambiguo episodio nel lontano 1996, la partecipazione al matrimonio della figlia di Croce Napoli, boss mafioso palermitano morto nel 2001; molto più grave, secondo il pentito Ignazio Gagliardo, Al Fano (Travaglio dixit) «sputa nel piatto in cui ha mangiato», perché «ora disprezza la mafia, ma ci chiese voti». Su che tipo di persona, pardon, di imputato, sia Berlusconi, invece, ne sappiamo già abbastanza.

Tornando alla riforma costituzionale, «che porterà cambiamenti epocali», Berlusconi ha annunciato in un messaggio ai Promotori della Libertà: «Il grande Alexis de Toqueville diceva: 'Tra tutte le dittature la peggiore è quella dei giudici'. Ecco con questa riforma noi cercheremo di evitare che questo ci accada», ha detto che dal '94 «la volontà era quella di mettere mano a una riforma della giustizia ma i nostri sforzi sono stati puntualmente vanificati perché una componente della maggioranza, Fini e i suoi, sono rimasti giustizialisti e statalisti e si sono messi sempre di traverso in accordo esplicito delle correnti di sinistra della magistratura». Il Premier ha poi proseguito con un piccolo avvertimento-minaccia alla sinistra, «sono convinto che il testo che presentiamo al Parlamento sia un testo molto equilibrato, che metterà alla prova l'effettiva credibilità della sinistra e la sua disponibilità al dialogo» ed una minaccia vera e propria, più esplicita e autoritaria, verso i suoi, contro il rischio distacco, «chi questa volta si tirerà indietro non avrà nessuna giustificazione». «Non è una legge ad personam», ha sottolineato più volte il Premier, concludendo in bellezza con qualche auto-elogio: «sono coraggioso, temerario forse anche un po' eroico e matto».
 
Il simpatico Premier pazzerello la ha, appunto, definita “epocale”. Ma qualcun altro, precisamente il giornalista Marco Travaglio, l'ha contraddetto, nella sua rubrica settimanale Carta Canta, sull'Espresso:
“Sono 17 anni che si annuncia la 'grande riforma della giustizia'. Ora, bontà sua, Silvio Berlusconi ne minaccia una 'epocale'. Purtroppo si tratta dell'ennesima riforma non della giustizia, ma dei giudici: stravolgerà i capisaldi costituzionali dell'indipendenza della magistratura, dell'unicità delle carriere, dell'obbligatorietà dell'azione penale, dell'autogoverno del Csm.
Ma, se mai entrerà in vigore, non accorcerà di un nanosecondo la durata dei processi, universalmente nota come la prima piaga della giustizia italiana: perché non sfiora neppure i meccanismi farraginosi della procedura penale, ma investe soltanto gli assetti della magistratura. Quanto alla sua prodigiosa 'epocalità', vien da sorridere, visto che il progetto Berlusconi-Alfano sa di muffa, essendo copiato per metà dal 'Piano di rinascita democratica' piduista di Licio Gelli (1976) e per metà dalla bozza Boato della Bicamerale D'Alema (1998).
A giudicare dall'attesa spasmodica seguita all'annuncio-minaccia del premier e del Guardasigilli ad personam, si direbbe che la giustizia italiana soffra di penuria di riforme. Balle: ne ha avute fin troppe”
 
“Infatti sono state 200 le leggi approvate in materia penale dal 1994”, quasi tutte scritte per abbreviare i processi, che quasi tutte hanno vieppiù allungato. E visto che sembra che nemmeno questa volta le cose saranno diverse, ecco, nei suoi punti principali, la riforma costituzionale che, sempre secondo Travaglio, «porta il sistema, porta l’Italia a una dittatura, a un modello fascista, quello in cui è il governo a controllare l’azione penale, a dare le direttive alle procure su quali reati perseguire e quali tralasciare»:
 
-Separazione delle carriere
 
-Doppio CSM
 
-Inappellabilità delle sentenze di assoluzione
 
-Polizia giudiziaria
 
-Responsabilità civile dei magistrati
 
-Obbligo dell'azione penale

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