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La politica ridotta ad uno slogan

Se De Sanctis esistesse in quel del XXI secolo si definirebbe egli stesso un profeta smentendo il nemo propheta in patriam. Ebbene sì parlo di Francesco De Sanctis, uno scrittore e politico italiano vissuto nell’ormai vetusto XIX secolo, autore di un caposaldo della letteratura italiana ossia la Storia della Letteratura Italiana, considerata la prima vera opera letteraria nazionale, ma soprattutto un’opera morale a detta di molti, Renè Welleck che ne ha scritto l’introduzione. Già promotore di una nuova sinistra, distinta da quella ormai divenuta “storica” o datata, da lui chiamata Giovane avrebbe dovuto soffermarsi sui reali problemi della nazione all’indomani del Marzo 1861, che oltre ad unire “burocraticamente” il Bel Paese, lo ha unito anche con i problemi condivisi in linea di massima dagli Stati preunitari italiani, dal conservatore Piemonte al Regno delle Due Sicilie passando per quello Pontificio. Uno dei problemi a cui mi riferisco è senz’altro quello della corruzione e la nascita di partiti “localizzati geograficamente” che sostituirebbero un detto politico di qualche decennio addietro “ad personam” con “ad locum”, il vero problema dell’Italia appena unita.

Il vero modo di combattere questi problemi e la corruzione in particolare andava riguardata dall’interno del sistema politico quindi, con la “Sinistra Giovane” che tanto rimanda alla sinistra Rottamatrice che il segretario PD Matteo Renzi ha propugnato negli ultimi anni politici. Se lo scrittore irpino De Sanctis voleva la scissione mediante toni non scapigliati, il secondo ne ha tirate giù pesanti nel tema della scissione. Discussione politiche interne alle quali il comune denominatore, il popolo, è escluso, chiamandolo in causa solo nei periodi di campagne elettorali, come se fossero pedine da scacchi. Vengono mossi con tanta audacia, tanta dialettica da tante belle “poker face”, come cantava una cantante, dei politici italiani. Li senti urlare e promettere così tante cose da creare imbarazzo della scelta nei più dei cittadini italiani, che hanno dinanzi lo “spes ultima dea”, e rancore in altri che allo spes ultima dea sostituiscono in chiave umoristica il “quod nemo dubitat”.

Parlano così tanto di incentivi, di investimenti, di lavoro giovanile e più concorsi che stando ad alcune statistiche reperibili nel web, molti di questi soldi dovrebbero essere ancora stampati in quanto il deficit italiano è sempre proteso verso l’alto o stazionario. L’unica vera soluzione a questo problema che incombe sull’Italia è non cedere al particulare guicciardiniano ma ritornando ad una coscienza nazionale che miri a rendere il Paese uguale e trasparente come le acque che lo circondano. Trasparenza nelle classi dirigenti, nel lavoro pubblico, il quale senza la dovuta trasparenza è apparenza. Un Paese, l’Italia, che potrebbe essere stato o potrebbe essere il “franco tiratore”, letto in chiave positiva, dell’Europa, se avesse saputo portare avanti una politica economica basata sul solo turismo. Turismo nelle sue più svariate accezioni, da quello culturale, a quello paesaggistico per arrivare a quello culinario. Un giro di affari che gestito bene avrebbe rintasato le casse italiane e dato lavoro a quei tanti giovani ai quali oggigiorno si vende l’aria, ma si è preferito dare molti di esse in gestione delle svariate cooperative, privatizzando un settore che dovrebbe essere pubblico e statale.

Meno tasse per tutti, lo slogan che oramai tutti ascoltano durante le trasmissioni, ma sono gli stessi che le hanno aumentate. Mi verrebbe da menzionare uno scrittore, storico ed economista di fine 1700 ed inizio 1800, autore di un saggio storico, ahimè pamphlet, sulla rivoluzione a Napoli del 1799; Vincenzo Cuoco. Questi sulle tasse espresse le sue idee; i cittadini dovrebbero essere felici di pagare le tasse poiché esse permettono il funzionamento corretto di una nazione e ove codesta felicità non fosse presente, ci sarebbe un malcontento nella popolazione. Il Meno tasse dei politici, in tale lettura, sarebbe meno felicità per tutti e meno funzionamento dei servizi pubblici; si sfruttano le aspettative collettive per una poltrona o “sedia” sui colli romani. L’opinione pubblica è quella che più conta ai politici di professione, è la chiave per la serratura del potere, bisogna solo adattarla e farla su misura per far scoccare gli ingranaggi. Tutti ricordano di come nella storia come molti partiti di extrema ratio abbiano preso le redini del potere sfruttando magari lo stesso malcontento creato da loro; il Fascismo in Italia, il Nazismo in Germania che con la propaganda del ministro Goebbels, già braccio destro del condottiero nazista, riscosse molto successo e consensi. Propagande diverse o in parte rispetto a quelle estreme dei totalitarismi novecenteschi; in parte perché anche oggigiorno come allora l’odio razziale può essere motivo propagandistico di alcuni partiti politici che si definiscono nazionalisti senza mezzi termini. Nel contesto poc’anzi citato la massima di Benedetto Croce “ La storia è la storia di oggi” sarebbe molto calzante. Si è visto di come un malcontento del popolo o una propria generazione potrebbe essere una chiave per il potere. Quello sopra scritto è solo storia, ed è proprio questo il problema è storia, fatta dagli uomini e che molto probabilmente è destinata a ripetersi se negli animi non vi si cambi la propria mascatura.

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