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La pista che non piace alla mafia

Nella terra dei Gambino, Di Maggio e Badalamenti, un imprenditire, Michele Ragusa, sta cercando di costruire un impianto sportivo di Formula 1. Tra tentativi di estorsione, ispezioni e sequestri sempre annullati

Nella terra dei Gambino, Di Maggio e Badalamenti, un imprenditire, Michele Ragusa, sta cercando di costruire un impianto sportivo di Formula 1. Tra tentativi di estorsione, ispezioni e sequestri sempre annullati

Colline aride, qualche casa sparsa, alcuni capi di bestiame. Questo è Pian dell’Occhio, nel territorio di Torretta, a 12 chilometri da Palermo. Al centro della valle, che vista dall’alto sembra un cratere lunare, un impianto sportivo, o meglio una pista per automobilismo, regolarmente omologata presso la federazione del Coni come pista di Formula 3 e con ambizioni di essere ampliata e ottenere l’omologazione per la Formula 1.

«È il mio sogno di sempre - racconta Michele Ragusa, che con la sua famiglia ha costruito e gestisce l’impianto - da quando correvo anch’io. Anche mio figlio Benedetto corre. Non esistono sotto Roma impianti come questo, con queste potenzialità». Un sogno realizzato? Le cose non vanno mai lisce, da queste parti.

Il territorio di Torretta, e dei comuni limitrofi, non è certo famoso per l’impianto sportivo di Michele Ragusa. In questo territorio hanno arrestato recentemente i Lo Piccolo. È la terra (e il feudo) delle famiglie mafiose dei Gambino, Di Maggio, Badalamenti, Pipitone. Immediatamente dopo la cresta delle colline, in direzione di Piana degli Albanesi e Portella delle Ginestre, sono stati sequestrati vasti terreni a boss del calibro di Totò Riina e Giovanni Brusca. Uno scenario che terrebbe lontano qualsiasi imprenditore, ma non Ragusa che, individuata la zona sei anni fa, inizia la trattativa per affittare la prima area e avvia le pratiche per le autorizzazioni necessarie alla realizzazione dell’impianto. Ragusa ha una facilitazione e contemporaneamente un handicap per il tipo di lavoro che svolge. È un alto funzionario della Regione Sicilia, ispettore della sezione urbanistica, architetto specializzato nella pianificazione del territorio. Uno che nella giungla di carte, uffici e competenze ci vive e quindi è facilitato se paragonato a qualsiasi altro imprenditore. Contemporaneamente, però, questa sua posizione può innescare sospetti, scatenare una ridda di voci. Proprio per sedare ogni dubbio «ho chiesto sempre doppie verifiche, ispezioni autonome, doppia valutazione di impatto ambientale - racconta - e non mi sono mai sottratto a controlli di ogni genere, e qui ne sono passati di ogni tipo». Ragusa negli anni si è fatto un nome con il suo lavoro: burocrate di “rango”, a lui e alla sua attività sono legati decine e decine di sequestri di immobili abusivi. Non vuole rischiare e non rischia, anche sul piano societario. La Mbr (titolare dell’impianto) è gestita dal figlio, come ad, e comprende l’intera famiglia. Nessun socio esterno, nessun finanziamento pubblico. Le attività sono affidate a una associazione sportiva regolarmente iscritta alla federazione e al Coni. Rifiuta compartecipazioni, cerca da sé i finanziamenti, investe tutti i soldi e i beni della famiglia e va avanti.



Ma fa anche un errore, e lo fa all’origine. Lo sbaglio è legato proprio al terreno dove deve sorgere l’impianto. I proprietari sembrano “estranei” a relazioni pericolose, non dovrebbero esserci problemi, e non ce ne sono fino alla firma del contratto. Ma subito dopo l’atto inizia una nuova fase. I proprietari - il titolare è Calogero Prestigiacomo - vogliono ricontrattare, avanzano una serie di richieste ulteriori, extracontrattuali. Intanto arriva la variazione urbanistica e le altre autorizzazioni necessarie e partono la livellazione e gli altri lavori. Su alcune richieste dei Prestigiacomo si giunge ad accordo (tipo il passaggio del bestiame), su altre no. E qui iniziano i problemi. Partono una serie di blocchi (tutti rimossi) e di ispezioni al cantiere (tutte risultate negative). I lavori, a rilento, vanno avanti, l’impianto prende forma. Qualcuno in paese capisce che i Ragusa, nonostante denunce, ispezioni e controlli, sono inattaccabili, e che, soprattutto, l’impianto può diventare una vera manna per chi ne vuole approfittare. E la situazione precipita.


Nel 2006, il Comune di Torretta viene sciolto per infiltrazioni mafiose. Il 2 ottobre dello stesso anno, il primo atto di intimidazione diretta con il danneggiamento dei mezzi meccanici della Mbr. Il 3 ottobre, i Ragusa vengono avvicinati e gli viene consigliato di «trovarsi una protezione». Il giorno 8 si svolge un incontro «per trovare un accordo» al bar Gionny Wolcher (sic) a Carini. Il 29 novembre avviene un secondo incontro sempre a Carini e poi il 5 dicembre il terzo incontro con “l’offerta”: i proprietari chiedono, oltre al canone di affitto, anche 20.000 euro al mese più la compartecipazione ai futuri utili. «Tutto è avvenuto alla presenza di diversi mafiosi che a loro dire dovevano vigilare sull’accordo - racconta Ragusa -. Alcuni di loro sono stati poi arrestati. Abbiamo rifiutato. Abbiamo denunciato il fatto, anche se non lo abbiamo reso pubblico. Nello stesso periodo ho ricevuto una telefonata di un impiegato dell’ufficio tecnico del Comune che, senza tanti giri di parole, mi ha detto: “Architetto Ragusa, qui se non si accorda con i proprietari le carte non vanno avanti”. Anche questo fatto è stato regolarmente denunciato». Intanto il Comune è retto da un commissario prefettizio. Ma i problemi amministrativi non si fermano e l’impianto viene bloccato e poi riaperto senza che vengano confermate le ragioni del blocco. Prima a causa di una baracca di cantiere, definita immobile, nonostante la legge preveda l’esistenza di tale prefabbricato all’interno di un’opera in realizzazione. Il sequestro viene revocato, ma l’ufficio tecnico del Comune porta avanti lo stesso l’istanza di demolizione. Aprendo un conflitto di competenze. Ogni contestazione fatta a Ragusa in questi anni, sia sul piano urbanistico che amministrativo, è decaduta, come del resto non sono state riscontrate irregolarità durante le varie ispezioni. Oggi il blocco più recente: il commissario prefettizio Marcello Forestiere, il 15 giugno 2008 (il giorno prima dell’esonero per decorrenza di termini), fa notificare dalla polizia municipale l’ordinanza con la quale vengono interdette tutte le attività di utilizzo dell’impianto, contestando sia i presunti pericoli di incolumità pubblica e sicurezza urbana sia, appellandosi al codice della strada, la guida sotto l’influenza di alcol, in stato di alterazione psicofisica per uso di stupefacenti e omissione di soccorso. Trattandosi di un impianto privato aperto solo ai soci dell’associazione sportiva, non risultano pericoli per la sicurezza pubblica. Mentre per le accuse di guida in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di stupefacenti non esiste agli atti alcun verbale, analisi o contestazione.


«Sono sicuro che con la riapertura degli uffici dopo l’estate l’impianto sarà dissequestrato vista l’assurdità delle contestazioni - dice Michele Ragusa -. Ma questo è un segnale, l’ennesimo, che questa storia non finirà mai. Troveranno un’altra scusa per farmi chiudere e poi un’altra e un’altra ancora. Per questo ho deciso, dopo anni, di rendere pubblico tutto, anche il silenzio di tutte le istituzioni alle quali da cittadino onesto mi sono rivolto». Istituzioni come la prefettura di Palermo che, nonostante la segnalazione fatta dai Ragusa immediatamente dopo l’ultimo atto del commissario prefettizio, ancora non ha risposto alle richieste di informazioni sulle presunte violazioni. I Ragusa, infatti, hanno chiesto che venissero loro applicate le eventuali sanzioni per i presunti reati commessi e che fossero presentati i verbali di tali contestazioni. Dalla prefettura ancora non rispondono. Forse perché questi verbali non li riescono a trovare.

 

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