• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Tempo Libero > Musica e Spettacoli > La musica di Cherubini, Haydn, Mozart e Beethoven al Teatro La (...)

La musica di Cherubini, Haydn, Mozart e Beethoven al Teatro La Fenice

Due belle prove dell’orchestra, diretta da Ivor Bolton e Rudolf Buchbinder

 

Ivor_Bolton_credit_B en_Wright

A distanza di pochi giorni l’uno dall’altro, la brillante stagione sinfonica del Teatro La Fenice ha offerto all’affezionato pubblico due doppi concerti.

Il primo ha visto alla guida dell’orchestra del Teatro, che sembra più brava con il tempo che passa, il direttore e clavicembalista inglese Ivor Bolton (17 maggio 1958), uno dei più apprezzati direttori nel campo del repertorio barocco e classico.

Ha preparato un programma in due parti. Nella prima si è partiti con l’Ouverture di Lodoiska (1791), la Comédie héroique in tre atti di Luigi Cherubini (Firenze, 1860 – Parigi, 1842), il cui libretto, di Claude-François Fillette-Loraux, si ispirò ad un episodio di Les amours du chevalier de Faublas, un ciclo di romanzi di successo, pubblicati da Jean-Baptiste Louvet de Couvray tra il 1787 e il 1790.

In tre movimenti, l’Ouverture inizia con un Adagio, che anticipa la tensione a venire. Segue un Allegro vivace, dallo slancio quasi beethoveniano, ed infine un breve Moderato-Allegro vivace, nel quale si celebra il trionfo del bene.

Opera popolarissima durante il periodo rivoluzionario della Francia, la sua fortuna declinò a partire dalla seconda metà dell’800, fatta eccezione per l’Ouverture, che rimarrà nei programmi delle stagioni sinfoniche.

A seguire la terza, numericamente, delle dodici Sinfonie Londinesi (dalla n.93 alla n.104), la n.95 in Do minore Hob.I:95, ossia quella che Franz Joseph Haydn (Rohrau, 1732 – Vienna, 1809) compose durante i due soggiorni londinesi (il primo, tra il 1791 e il 1792 ; il secondo, tra il 1794 e il 1795), su invito dell’impresario inglese John Peter Salomon, il quale gli propose di dirigere Sinfonie per grande organico, composte in occasione di una fortunata stagione di concerti. In quattro movimenti, – Allegro; Andante; Minuet – Trio; Finale.Vivace – rispetto alle altre è l’unica in tonalità minore e l’unica a non iniziare con un’introduzione lenta.

Dopo la canonica pausa di 20 minuti, un tempo utilizzato da parecchi spettatori per recarsi a cercare conforto mediante la degustazione di bevande, la serata si è conclusa con l’esecuzione del Requiem in Re minore per soli, coro e orchestra, K626 di W.A.Mozart (Salisburgo, 1756 – Vienna, 1791), l’ultima composizione del salisburghese, da lui non conclusa, a causa della morte sopraggiunta il 5 dicembre. Venne completata dall’amico di famiglia, copista e collaboratore del Genio, Franz Xaver Sussmayr.

Il Requiem, scritto in latino, è una Missa pro defunctis, vale a dire formata da un insieme di brani finlizzati a celebrare la memoria di un defunto. Mozart aveva cercato, riuscendovi, di rispettare i precetti dell’imperatore Giuseppe II per una musica sacra disadorna. L’orchestra, diretta con ampi gesti da Bolton, scegliendo di non usare la consueta bacchettina, ha prodotto un suono fascinoso, arricchito dalle belle voci dei solisti. A partire dalla soprano Valentina Farcas (Bucarest, 14 ottobre 1975), apparsa in passato nel teatro veneziano. Talentuosa, la mezzosoprano Cecilia Molinari (Riva del Garda, 1990), già ascoltata, anni or sono, nell’ambito del festival “Lo spirito della musica di Venezia” ; solido, il tenore Mauro Peter (Lucerna, 1987) ; dal timbro profondo e suadente, il basso Milan Siljanov. Impeccabile, la prova del Coro, punto di forza nel repertorio del Teatro, ben preparato da Alfonso Caiani, che è entrato in scena, chiamato dal direttore, per ricevere anche lui gli applausi della platea.

Rudolf_Buchbinder

Passano pochi giorni e di nuovo la sala grande ospita il pianista e direttore austriaco Rudolf Buchbinder (1 dicembre 1946), da me ascoltato parecchi anni fa, prima dell’ultimo incendio del Teatro, impegnato in un programma beethoveniano.

L’inizio è affidato al Concerto per pianoforte e orchestra n.3 in Do minore, op.17, la cui prima esecuzione, con Beethoven al pianoforte, ebbe luogo a Vienna il 5 aprile 1803. Orchestra e direttore/pianista sembravano un tutt’uno nel commentare lo spartito del geniale compositore.

Piacevoli i due temi, gli interventi solistici di Buchbinder, i suoi breaks con il timpanista, mentre i tamburi emettevano suoni melodicamente diversi.

Un concerto godibile, che stimolava sempre più lo spettatore, desideroso di salire anche lui sul palco a suonare uno strumento assieme agli altri.

Delicato, sognante, diffusore di una serenità sottovoce, velata di malinconia, il Largo, disegnato dal solo pianoforte. Giocoso, il Rondò finale sembra suggerire di guardare la vita con ottimismo.

E’ il momento della pausa. Venti minuti utilizzati da chi rimane seduto per commentare ciò che ha appena finito di ascoltare. Altri escono per bere qualcosa. Altri si precipitano in bagno.

La seconda parte ha proposto il Concerto in Mi bemolle maggiore n.5, op.73, Imperatore, il quinto di quelli per pianoforte e orchestra, ma soprattutto, l’ultimo concerto composto da Beethoven, che diventerà il suo più celebre e uno dei più popolari di tutta la letteratura per pianoforte e orchestra.

Il Maestro lavorò al concerto negli anni 1808 e 1809 a Vienna, tra drammatici avvenimenti esterni : l’esercito di Napoleone aveva assediato e bombardato la città dal 10 maggio, per poi occuparla fino alla fine di luglio.

E’ dedicato all’arciduca Rodolfo d’Asburgo, allievo di Beethoven.

Il titolo di Imperatore, che lo accompagna, non è originale e sembra sia stato diffuso dal pianista e editore Johann Baptist Cramer.

E’un concerto grandioso, maestoso, con accenti marziali, accanto ad un’amabilità che fa capolino in diverse occasioni.

Abile, delicato, appassionato, Buchbinder esibisce un fraseggio virtuosistico, se necessario, e un tocco dolcissimo, specialmente nell’Adagio. E contemporaneamente, da seduto, con pochi gesti o con lo sguardo, mantiene concentrata l’Orchestra, capace di interpretare con garbo stimolante le pagine dello spartito.

Nessun intoppo, nessuna calata di tono. Il pubblico capisce e tributa applausi scroscianti e ripetuti.

Ma ciò che colpisce sono i sorrisi, mai di prammatica, degli stessi musicisti, sinceramente plaudenti. Verosimilmente, Buchbinder è riuscito ad instaurare un bel clima durante le prove, a far sentire importante ogni musicista.

Due ritorni sul palco per i bis, a dimostrazione che la voglia di suonare è un antidoto al passare del tempo.

Peccato che una parte della platea, appena concluso il secondo bis, si sia alzata in gran fretta per guadagnare l’uscita.

Ritengo che un ulteriore, convinto applauso, avrebbe fatto continuare l’artista a suonare.

Comunque belli i brani scelti per il pianoforte solo :

Fruhlingstimmen, voci di primavera, op.410, uno dei valzer di successo di Johann Strauss (1825 – 1899).

Il secondo, presentato dall’interprete come l’ultimo Beethoven.

Alla prossima, Rudolf!

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox


Pubblicità




Pubblicità



Palmares

Pubblicità