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La leggenda del santo parlamentare che guadagnava troppo poco

"Ieri sera mia moglie, che sa che vita meno, mi ha chiesto: perché non lasci perdere? Credo si vergogni. Del resto, ieri una collega mi raccontava che in uno dei nostri circoli non c’è stato verso di convincere i presenti che i parlamentari non prendono 24mila euro al mese e 15mila euro di pensione. Lo scorso anno (redditi 2008) ho dichiarato 122.715 euro e ne ho versati al partito 55.150 mila. Il direttore della Camera di commercio del mio paesello (non di Shanghai) guadagna di più."

La leggenda del santo parlamentare che guadagnava troppo poco

 
Il succo del suo post, che trovate qui, è: ma davvero è una cosa buona, giusta e sacrosanta infamare i parlamentari? Non si rischia di creare un totale disamoramento al suolo istituzionale del parlamento, producendo derive personalistiche? Tanto più che, per quanto sia abitudine sparare sulla "casta", "un parlamentare economicamente autosufficiente è sicuramente più libero ed indipendente nello svolgere il proprio mandato di quanto non potrebbe esserlo se avesse spesso necessità di far quadrare i propri bilanci, personali o politici" (cita lui stesso da una non ben definita legge del 1965).

Per quanto riguarda lo screditare i parlamentari, le possibili derive personalistiche e via dicendo, ok, sono d’accordo. Ma poi, caro lei, le nostre strade si dividono, e credo sia per il semplice fatto che io, a differenza sua, vivo nel paese reale. O forse anche perchè l’ho sentita lamentarsi per radio (a radio 24, Programma di Cruciani, "La zanzara") del fatto che lei a fine mese riesce a mettere da parte solo 5000 euro.

Solo 5000 euro. In un anno sono 60.000 euro. Bastano dieci anni e, con l’aiutino di Scajola, ci si compra una casa vista colosseo niente male.

Voglio rispondere, però, anche a un’altra cosa. Nessuna legge, mi corregga se sbaglio, impone ai parlamentari di donare una qualsiasi somma ai partiti di provenienza, tanto più che gli stessi sono organizzazioni private e non pubbliche. Quindi mi lasci dire con molta calma: non me ne frega davvero un benemerito se lei dona al partito 50.000 euro. E’ un problema suo, per me se li può mangiare tutti all’osteria dietro casa, donarli al mendicante del metrò o buttarli tutti alla Snai scommettendo sulla vittoria del Pd alle prossime elezioni
Non me ne frega niente. Quelli, per legge, sono soldi suoi, non può lamentarsi di averli donati.

"donàre [do’nare]

Definizione: dare qualcosa spontaneamente e senza ricompensa."

E voglio andare avanti.
Gli italiani sono, a mio avviso, un popolo abbastanza "generoso". Generoso con un occhio puntato alla ricompensa che potrebbero trarre da un gesto; sanno, mettiamola così, investire, calcolare. Un italiano è disposto a svenarsi per la propria salute, pagando un megaspecialista, se capisce che quella è la strategia per tirarne fuori le gambe.

Gli italiani sono disposti a pagare il miglior commercialista, meccanico, elettricista, veterinario, ciò che vuole, se sanno che il lavoro verrà fatto nel migliore dei modi.
Si guardi attorno, in parlamento. Davvero possiamo dire di stare pagando, e molto profumatamente, la crema della popolazione italiana? Pensi un po’ all’ipotesi di Renzo Bossi ministro. O alla Carfagna, che è già ministro.
Un italiano qualsiasi, se dovesse davvero pagare esclusivamente di tasca propria, non darebbe nemmeno uno spicciolo alla maggioranza dei suoi colleghi, preferirebbe pagare di più altre persone.

Il problema è che da quando sono nato sento solo parlare di crisi e manovre correttive, buco dello stato e via dicendo, e questo mi fa chiedere: davvero voi siete i giusti professionisti che noi dovremmo pagare per risolvere i problemi dello stato?

Riprendo un invito vecchio di un anno e chiedo a chiunque di voi legga di firmare una vecchia ma ancora valida petizione per abbassare notevolmente lo stipendio parlamentare. La petizione la trovate qui. E, perché no, diffondetela.

E lei, caro Maran, mi dia retta, non si lamenti. Che lei in tre mesi mette da parte ciò che io guadagno in un anno lavorando tutti i giorni. E non sono quello messo peggio.

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