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La grande Muos-truosità

“Gli americani so' forti... ammazza gli americani, aoh!” Diceva così Alberto Sordi nel film Un americano a Roma, sintetizzando una volta per tutte quello strano e spropositato sentimento di ammirazione cialtrona rispetto al mito a stelle e strisce che ben presto si rivelerà per quello che è.

“Gli italiani so' fessi... ammazza gli italiani, aoh!”, era questo che voleva dire l'Albertone nazionale nel film di Steno del 1954. Era nel confronto tra loro (liberatori) e noi (illusi di essere stati liberati aggratis) che nasceva quel senso di inadeguatezza e di servilismo culturale, ma anche sociale, politico e militare che ha condizionato l'intera vita della nostra Repubblica.

Tutto è passato sottotraccia, come i sommergibili nucleari statunitensi che da decenni attraversano i nostri mari o come gli arsenali atomici custoditi qua e là nello stivale. Ci sono, ci sono sempre stati, ma sono cose militari, il popolo non è tenuto a sapere. Ma anche degli accordi fatti fra Washington e Cosa Nostra prima del 1943 per spalancare le porte ai marines che sarebbero sbarcati in Sicilia al popolo non è stato dato sapere. Delle stragi, a partire da Portella della Ginestra in poi, e degli omicidi eccellenti come quello di Enrico De Mattei non è dato sapere. Dobbiamo continuare a pensare che “gli americani so' forti, aoh!”. 

Sì, qualche pacifista, magari ricchione e comunista, a partire dalla fine degli anni '60 ha protestato per la politica aggressiva degli Usa in Vietnam e in sud America, ma in fondo “so' ragazzi”. Magari ogni tanto sbagliano gli americani, però fuori dall'Italia, con noi il padrone è sempre stato buono. Poi succedono delle cose come la strage del Cermis nel 1998, 20 persone muoiono per le manovre spericolate di un pilota statunitense e qualcuno inizia a storcere il naso. Chi critica però viene tacciato di “antiamericanismo”. In fondo non dimentichiamoci che “gli americani so' forti” e so' pure buoni. Senza di loro e il piano Marshall ancora staremmo a mangiare le bucce delle patate. E poi questi sono episodi, cose che capitano, niente di premeditato, loro ci vogliono bene e ci tengono ad essere ricambiati.

Nell'italiano medio scatta quella consapevolezza di contare poco meno di una cippa nello scenario internazionale e che le nostre scelte dipendono al 99,9% da Washington. Sì, con orgogliosa rassegnazione, ci siamo un po' tutti definiti un “paese cuscinetto”, un ingranaggio della grande macchina a stelle e strisce. In fondo, avere l'autonomia di un cuscinetto non è poi così male, si ha l'illusione di sentirsi parte attiva nello scacchiere internazionale, sovrani nella propria casella. E poi ci americani ci vogliono bene, ci riempiono di pacche sulle spalle, portano i dollari, ci danno l'Oscar per La grande bellezza, amano Roma, si sdraiano sui nostri monumenti a prendersi il sole.

Pian piano, però, da paese cuscinetto ci siamo trasformati in paese materasso, disposto a farsi mettere sotto senza opporre resistenza, anzi, con un certo compiacimento. E qui comincia la nostra storia, quella del Muos, la grande base della marina militare americana installata a Niscemi. Una storia impossibile da raccontare se non si cerca di capire da dove nasce il muro di silenzio che circonda questa assurda e mortale installazione militare. L'ultimo capitolo della storia è la manifestazione “No Muos” del 1° marzo a Niscemi, all'interno della riserva della Sughereta, dove ha sede la base, a poca distanza dal centro abitato di Niscemi.

Un po' tutti i siti internet a fine giornata dedicano quattro righe alla protesta per via di un paio di minuti, forse meno, di scontri avvenuti tra alcuni giovani attivisti e le forze dell'ordine italiane che presidiavano il cancello della base. Per il resto è silenzio. Chi ha fatto il corteo, come al solito, dei marines non ha visto neanche l'ombra. A Niscemi dicono che da anni sono una presenza quasi invisibile, al massimo li puoi trovare a prendere un caffè al bar all'ingresso del paese, ma negli ultimi tempi, data la protesta del movimento No Muos, le loro “visite” si sono ridotte parecchio. Una ventina di autobus arrivano da tutta la Sicilia ma anche da fuori. Uno striscione recita “Da Gioia Tauro a Niscemi per un Mediterraneo di pace”. Ci sono anche bandiere No Tav ed attivisti di quell'altro grande movimento. C'è un monaco buddista con tonaca gialla e stendardo scritto in cinese ad aprire il corteo. Al suo fianco il pacifista Turi Vaccaro che mesi fa si arrampicò su una delle 41 antenne nrtf della marina americana che già dal 1991 sorgono a Niscemi generando campi elettromagnetici i cui effetti, che continuano ad essere “testati” sulla pelle della popolazione residente, costituiscono una grande fonte di preoccupazione. Ci sono i niscemesi e le coraggiosissime “mamme No Muos” che hanno deciso di combattere in prima linea per la salute dei loro figli. In tutto duemila persone circa. Poche, pochissime per una vicenda che potrebbe avere effetti devastanti per la salute di centinaia di migliaia di siciliani.

Sì, perché le tre grandi antenne paraboliche dal diametro di 20 metri e altezza di 150 montate a fine gennaio in soli tre giorni - secondo quanto affermano osservatori indipendenti e scienziati non a libro paga del governo Usa, come i ricercatori del Politecnico di Torino Zucchetti e Coraddu -, faranno sì che buona parte dell'isola si trasformi in una sorta di forno a microonde e sugli effetti dell'assorbimento di queste radiazioni elettromagnetiche, più che il principio di precauzione sembra valere il principio dell'insabbiamento. Meno se ne parla, meglio è. Neanche la mafia era riuscita a creare un vuoto informativo tanto imponente attorno alle sue malefatte. Sarebbe chiaro anche a un bambino che in questa storia l'Italia e la Sicilia hanno solo da perdere e nulla da guadagnare.

E invece il governo italiano, travestito da mezzadro per il latifondista Usa cosa fa? Schiera migliaia di agenti a difesa della grande Muostrosità. E se la manifestazione è stata poco partecipata non è dipeso solo dal cattivo tempo, ma dall'autorizzazione negata dalla Questura per il corteo solo il giorno prima e riconcessa nella tarda mattinata dell'1 marzo. Questo ha scoraggiato molti che hanno avuto paura per una possibile repressione. Badate bene, la richiesta per la manifestazione è stata avanzata settimane prima e solo a meno di 24 ore dalla manifestazione è arrivato il no dalle autorità, motivato a quanto pare dal rischio incendi che avrebbe paventato il corpo Forestale. Manco fossimo in agosto. Settimane per avere un timbro su un pezzo di carta quando gli americani in pochi giorni sono riusciti a tirar su delle parabole gigantesche. Un fatto non da poco che ha demoralizzato gli indecisi sulla protesta, i fatalisti, quelli che pensano non ci sia nulla da fare e che ormai il governo americano ha vinto. Un sentimento di impotenza che a tratti si può leggere anche sui volti di coloro che hanno affrontato lunghe ore di viaggio in autobus per giungere a Niscemi e poi per altre ore hanno camminato in corteo per raggiungere il cancello della base Usa.

Un pessimismo di sottofondo che diventa rabbia e consapevolezza del grande inganno quando, sfiorata la recinzione e il filo spinato della base Usa, a meno di un metro dal filo spinato si vede un cartello segnaletico della Regione che segnala “E' vietato prelevare terra, sabbia o altri materiali”. Questa è un'area protetta, una riserva naturale, attenzione alle multe se raccogliete un fungo. Semplicemente ridicoli! E di voglia di ridere alla manifestazione ce n'è tanta, grazie all'energia portata dai molti uomini e donne che da decenni militano in associazioni pacifiste, ambientaliste o antimafia, come i compagni di Peppino Impastato (alla faccia di chi parlava di infiltrazioni mafiose nel movimento) e soprattutto grazie all'energia dei moltissimi ragazzi che hanno partecipato con le loro bandiere, i loro cani vestiti con improvvisati cappottini No Muos, le maschere e i travestimenti che ricordano che in fondo la vita continua, con il suo carnevale e le sue pazzie. I ragazzi, sì il futuro è loro, e questo lo sa anche il governo americano che proprio nella nostra isola ha lanciato un progetto destinato alle scuole superiori che si chiama “Youth Leadership Program: Sicily”, che vedrà ragazzi e professori di alcune scuole passare tre settimane negli States, dal 17 maggio all'8 giugno.

Tra le scuole selezionate per questo progetto ci sono il liceo “Garibaldi” e l'Ipssar “Paolo Borsellino” a Palermo, il liceo “Boggio Lera” a Catania e l'Istituto superiore “Leonardo da Vinci” a Niscemi. Già proprio così, gli americani investono anche sui ragazzi di Niscemi oltre che sulle nostre riserve naturali, per far capire loro quanto sono buoni ed efficienti, per far capire chi comanda, come si conquista la “leadership” e la felicità e magari anche per avere persone fidate che un giorno possano fare da contraltare all'antiamericanismo che sta sorgendo in alcuni territori. Prima di far partire i ragazzi però i professori devono descrivere “il comportamento e l’atteggiamento che ha il candidato nei confronti dell’autorità”. Non si sa mai, dovessero mandare negli States un ragazzo No Muos. Gia m'immagino quello che diranno questi ragazzi al loro ritorno nella colonia Italiana: “Gli americani so' forti... ammazza gli americani, aoh!”

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